Il noto fisico Roger Penrose, nel suo geniale La mente nuova dell’imperatore (1989), parla della straordinaria capacità umana dell’intuito. Diversamente da quanto avviene a livello cosciente nella nostra mente con il pensiero, l’intuito oltrepassa le normali leggi del tempo e anche dello spazio. Penrose cita testimonianze di scienziati ed artisti i quali al

momento dell’intuizione riescono ad abbracciare con la mente l’intera portata di un’idea: Mozart riusciva, in un istante d’intuizione, a percepire nella sua interezza una sinfonia da comporre (pur lunga magari un’ora); dei fisici avevano in un istante la comprensione di una teoria la cui spiegazione avrebbe richiesto centinaia di pagine di trattati. Secondo Penrose, «il forte senso della validità di un lampo d’ispirazione… è connesso in modo molto stretto alle sue qualità estetiche. Una bella idea ha molta più probabilità di essere giusta di una brutta idea». Ma da cosa deriverebbe la bellezza di un’idea? Forse dalla sua attinenza alla realtà. Qualcosa chiaramente falso, che ci risulta evidente essere non coerente, non è bello. L’intuizione potrebbe apparirci vera immediatamente, anche se a livello cosciente non l’abbiamo ancora analizzata in dettaglio, perché proviene dal substrato della realtà stessa, dal campo unificato al quale la nostra mente sarebbe legata. Penrose è molto vicino a questa tesi (benché egli non parli assolutamente di “campo unificato” o cose del genere) sulla base della sua concezione platonica del reale, secondo cui le verità matematiche scaturirebbero da una sorta di astratto “mondo delle idee”, avrebbero quindi validità assoluta a priori. Quando Luke Skywalker spegne il computer del suo caccia nell’attacco alla Morte Nera, egli si fida – come lo incita a fare Obi-Wan – del suo intuito, della capacità di fondersi con la Forza a livello sub-cosciente. Anche i sostenitori della “meditazione trascendentale” ritengono che la fusione tra mente e campo unificato avverrebbe a livello subcosciente, quando attraverso la meditazione il soggetto smette di percepire se stesso e ciò che lo circonda.Cosa si può dire sulla capacità della Forza, sostenuta da Palpatine, di “creare la vita stessa”? È una capacità che in Star Wars appare evidente allorquando Qui-Gon sostiene che Anakin sarebbe nato dalla Forza, dalla volontà dei midichlorian. Naturalmente questo è un ambito nel quale le nuove forme di religiosità new age fanno spesso sentire la loro voce: non va dimenticato che tutte le religioni basano la loro forza sulla naturale paura umana della morte. È questa paura che spinge Anakin a compiere la sua conversione al Male. Paul Davies, riprendendo le tesi sostenute da Fritjof Capra nel suo Il Tao della Fisica (1975), sostiene la necessità di comprendere la vita attraverso il paradigma olistico, come già con l’universo. Per capire cos’è la vita non dobbiamo analizzare i singoli componenti degli esseri viventi – organi, cellule, atomi – ma l’essere vivente nel suo complesso, l’insieme cioè delle interazioni tra i suoi componenti. Sono le interazioni tra i suoi elementi componenti a far sì che un essere esista, viva: «È assurdo dire che un essere umano è nulla più che un insieme di cellule, le quali non sono altro che frammenti di DNA eccetera, i quali a loro volta sono soltanto raggruppamenti di atomi – e concludere infine che la vita non ha importanza né significato. La vita è un fenomeno olistico». Questa evidente coincidenza tra realtà fisica e vita, entrambi da interpretare in maniera olistica, ci consente di capire meglio che il ruolo dei viventi nell’ordine cosmico. Capra, nell’introduzione al suo libro, racconta l’esperienza che lo ha portato a scrivere Il Tao della Fisica: mentre stava seduto in riva all’oceano, in un pomeriggio di fine estate, egli percepì il profondo legame tra lui stesso e la realtà che lo circondava: «Sedendo su quella spiaggia… “vidi” scendere dallo spazio esterno cascate di energia, nelle quali si creavano e distruggevano particelle con ritmi pulsanti; “vidi” gli atomi degli elementi e quelli del mio corpo partecipare a questa danza cosmica di energia; percepii il suo ritmo e ne “sentii” la musica». È un’esperienza che ovviamente non va interpretata alla lettera, ma nel senso dell’improvvisa intuizione del fisico del fatto che la realtà altro non è che un tutto al quale l’essere umano partecipa in maniera integrante. Capra nel suo volume sostiene l’interpretazione di Copenaghen della fisica quantistica: «L’osservatore umano costituisce sempre l’anello finale nella catena dei processi di osservazione e le proprietà di qualsiasi oggetto atomico possono essere capite soltanto nei termini dell’interazione dell’oggetto con l’osservatore. Ciò significa che l’ideale classico di una descrizione oggettiva della natura non è più valido. Quando ci si occupa della materia a livello atomico, non si può più operare la separazione cartesiana tra l’io e il mondo, tra l’osservatore e l’osservato. Nella fisica atomica, non possiamo mai parlare della natura senza parlare, nello stesso tempo, di noi stessi». La vita, l’universo e tutto quanto – per citare la celebre espressione dello scrittore di fantascienza Douglas Adams – sarebbero quindi inestricabilmente collegati. Come la vita possa diventare protagonista dei paradossi della meccanica quantistica lo si piò intuire attraverso il paradosso del gatto di Schrödinger: poniamo in una scatola un gatto vivo insieme a una fiala di veleno. Un martelletto è destinato a rompere la fiala allorquando il relais collegato al martelletto rilevi il decadimento di un atomo radioattivo, che ha eguali possibilità di decadere o non in un arco di tempo dato, poniamo un’ora. Poiché l’atomo, nel corso di quest’ora, ha il 50% di possibilità di decadere o no, e quindi così facendo di far morire o lasciare in vita il gatto, quale delle due possibilità sarà avvenuta lo scopriremo solo quando apriremo la scatola e osserveremo lo stato del gatto. Il gatto, in altre parole, finché non apriamo la scatola, si troverebbe in uno stato indefinito tra la vita e la morte; solo la nostra osservazione porterebbe l’atomo radioattivo a “scegliere” tra le due possibilità, decadere o no, sancendo così il destino del gatto prima che noi apriamo la scatola, ma solo dopo che la scatola sia stata aperta. È un evidente paradosso che dimostra l’impossibilità di far interagire i meccanismi quantici delle particele subatomiche con fenomeni macroscopici. Ma è chiaro che se accettassimo la possibilità di un simile paradosso, l’osservatore cosciente avrebbe un ruolo chiave nel “creare” la vita o la morte.