Dai tempi di Einstein, il “santo Graal” della fisica contemporanea consiste nella tanto sospirata “Teoria del Tutto”. Essa

Evento attribuibile al bosone di Higgs individuato dall'esperimento CMS del Cern
Evento attribuibile al bosone di Higgs individuato dall'esperimento CMS del Cern
consisterebbe in una teoria capace di riassumere tutte le forze fondamentali della natura, che sono quattro: forza elettromagnetica, forza nucleare debole, forza nucleare forte, forza di gravità. Queste quattro forze sono i collanti dell’universo, nel senso che riescono a spiegare le interazioni tra tutte le parti che lo costituiscono. La forza elettromagnetica spiega le interazioni tra cariche elettriche e magnetiche; la forza nucleare debole lega i leptoni e i quark, cioè le particelle subatomiche; la forza nucleare forte è quella che lega insieme i costituenti del nucleo atomico; la forza di gravità lega tutti i corpi dotati di massa, dai granelli di sabbia alle galassie. Gli sforzi per unire queste diverse forze hanno finora raggiunto importanti risultati: è stata infatti raggiunta una descrizione unificata delle prime due forze, quella elettromagnetica e quella nucleare debole, che ora sono accomunate dalla definizione di “interazione elettrodebole”. Le verifiche condotte al CERN hanno inoltre confermato definitivamente la teoria oggi nota come “Modello Standard”; tale modello ha unito l’interazione elettrodebole con la forza nucleare forte consentendo quindi un’unificazione di tre delle quattro forze fondamentali. Resta esclusa però la quarta forza, quella gravitazionale, oggi descritta attraverso la teoria della relatività di Einstein che, diversamente da quanto avviene con le tre forze summenzionate, non descrive la realtà in termini quantistici. Buona parte dei fisici oggi è alle prese con l’enorme sforzo teorico di far rientrare anche la forza di gravità nell’ambito del Modello Standard. Se ciò avvenisse, saremmo in grado di descrivere con una sola teoria matematica l’intero universo e le sue interazioni. Come ha scritto Stephen Hawking nel suo Dal Big Bang ai buchi neri, riusciremo a comprendere la mente stessa di “Dio”, cioè l’essenza ultima dell’universo. Non sfuggirà al lettore l’analogia della Teoria del Tutto con la Forza lucasiana: un’energia che rende possibili le interazioni di tutte le componenti dell’universo altro non è che quell’energia di cui le quattro forze fondamentali sono solo espressioni particolari.Nell’universo di Star Wars la Forza non si limita, tuttavia, a fungere da legame per tutte le diverse parti che compongono l’universo; essa dà anche allo Jedi la possibilità di interagire con essa al punto da modificare la realtà attraverso fenomeni tipicamente noti nell’ambito delle pseudo-scienze come “percezione extrasensoriali” o ESP, in primis telecinesi e telepatia. La meccanica quantistica sostiene il principio secondo cui l’osservatore, lungi dal porsi in maniera distaccata da ciò che osserva, contribuisce in maniera fondamentale alla costruzione della realtà che osserva: più che osservatore si parla quindi di partecipatore. Riassumendo le straordinarie scoperte sperimentali in proposito, la meccanica quantistica porta a sostenere che non esisterebbe nemmeno una realtà ontologica, data, ma la realtà deriverebbe dalla presenza dell’osservatore-partecipatore che contribuisce a crearla. È noto ad esempio che gli elettroni che circondano il nucleo atomico non sono minuscole sferette che ruotano in orbite stabili come i pianeti intorno al sole, ma costituiscono la cosiddetta “nuvola elettronica” composta da orbitali atomici. Questi orbitali sono regioni di spazio all’interno delle quali le probabilità di trovare un elettrone è massima. Ma, esattamente, dove si trova l’elettrone all’interno dell’orbitale? Si trova laddove noi vogliamo che si venga a trovare: allorquando l’osservatore si accinge a misurare la posizione dell’elettrone all’interno dell’orbitale, ecco che l’elettrone compare dove questi è andato a cercarlo. L’equazione che descrive la regione di spazio dove esiste la massima probabilità di trovare una particella assume il nome di “funzione d’onda”. Quando l’osservatore va a compiere la misurazione, la funzione d’onda
Spada dello Jedi, un particolare
Spada dello Jedi, un particolare
“collassa” e lo stato di probabilità precedente si tramuta in una certezza. Non abbiamo più X possibilità di trovare in quella regione di spazio una particella; la troviamo e basta. In pratica, il mondo subatomico si trova in un perenne stato di “angoscia esistenziale”: le particelle che lo compongono non sono finché noi non vogliamo che siano, e fino ad allora si mantengono in un perenne stato probabilistico oscillando tra la possibilità di essere e di non essere. Il paradosso più straordinario della fisica contemporanea al riguardo assume il nome di “paradosso EPR” o “Entanglement quantistico”. Il paradosso EPR, il cui termine deriva dalle iniziali di Einstein, Podolsky e Rosen, cioè i fisici che per primi lo proposero nel 1935, fu posto con l’intento di demolire in buona parte le tesi sopra menzionate riguardo il ruolo chiave dell’osservatore nel mondo quantistico, tesi sostenute dalla cosiddetta “interpretazione di Copenaghen” della fisica quantistica teorizzata da Niels Bohr e Werner Heisenberg. S’ipotizzi che una particella, decadendo, si scinda in due sub-particelle che schizzano via in direzioni opposte; essendo nate dalla stessa particella madre, le due sub-particelle avranno in comune certe proprietà, ad esempio lo spin, cioè il senso di rotazione della particella. Per la legge della conservazione del momento angolare, le due sub-particelle hanno spin opposti: se la particella A ha spin 1/2, la particella B ha spin -1/2. Ma se ci poniamo la domanda “è la particella A o B ad avere spin 1/2?” abbiamo bisogno di osservare una delle due per accertarcene. Il paradosso sta nel fatto che per la meccanica quantistica sia A che B non hanno uno spin certo finché noi non osserviamo una delle due, ma hanno eguali possibilità (50%) di avere o spin 1/2 o spin -1/2. La cosa incredibile è che, quando l’osservatore si accerta che ad esempio A ha spin 1/2, la particella B, anche se si trova ora ad anni-luce di distanza, assumerà nel medesimo istante spin -1/2. In pratica il limite posto da Einstein riguardo la velocità della luce è infranto, A e B sono unite da una sorta di collegamento “non-locale” che supera la velocità della luce ed è istantaneo.