Griffin era arrivato alla sommità del passo. Se nelle prime ore del mattino l'aria era stata frizzante o decisamente fredda nonostante la stagione, ora che il sole era alto nel cielo sgombro di nubi, faceva caldo.

Si guardò in giro: era una fortuna essere completamente solo, non c'era nessuno tranne la lontana e sottile sagoma scura di un condor che stava approfittando di qualche corrente ascensionale per librarsi apparentemente senza sforzo oltre le vette, e che si stagliava contro il cielo color cobalto.

Nonostante ciò la cosa gli richiese un piccolo sforzo soprattutto psicologico, era rompere definitivamente con una parte della sua vita, uscire dal guscio, dalla crisalide.

Si tolse i guanti, poi le bende che gli avvolgevano la faccia. Il cappello e gli occhiali scuri, quelli li posò sullo zaino prima di rimetterseli, quelli proteggevano dal sole, non solo dagli sguardi curiosi. Prese dallo zaino la crema solare e se la spalmò accuratamente sulle mani, sulla faccia, sul collo, sulle parti scoperte. Sotto il sole andino gli eritemi venivano anche se non si vedevano, ed erano quanto meno pruriti fastidiosi, lo sapeva già.

Si guardò le mani: con il dorso spalmato di crema erano appena visibili come fantasmi traslucidi, ma ormai la cosa non aveva più importanza.

Si rimise lo zaino in spalla, il cappello, gli occhiali, poi appallottolò le bende e le buttò oltre il ciglio del burrone.

Riprese la strada che ora scendeva e diventava meno faticosa, anche se bisognava stare attenti, perché si restringeva mano mano che s'incuneava nella stretta valle. Il sentiero era ripido, e bisognava prestare molta attenzione a dove si mettevano i piedi, a rischio di fare un volo fino giù al fondovalle, un volo che, a differenza di quelli dei condor, sarebbe stato certamente l'ultimo.

Continuò a scendere: a mezza costa lo strapiombo si faceva meno ripido e il sentiero  un po' più largo e agevole. Vide che nella parte bassa della valle dove il declivio si addolciva erano stati praticati dei terrazzamenti per sfruttare con cura la poca terra disponibile. Campi e orti – gli parve – coltivati a mais e patate, più qualche verdura locale che non riuscì a identificare.

Griffin passò vicino a un appezzamento dove c'era un campesino curvo sulle zolle. L'uomo alzò la testa verso di lui.

Doveva essere stato il rumore dei suoi passi a farlo voltare, forse magari l'odore del nuovo venuto perché i suoi occhi – Griffin lo poteva vedere molto bene – spiccavano come due lunette di un bianco madreperlaceo sulla faccia abbronzata, interamente composti di cornea, senza né cristallino né pupilla.

- Ola gringo -, disse l'uomo, - Buenos dias.

- Gringo? -, replicò il forestiero. - No soy yanqui, soy ingles, me llamo Griffin.

- Bueno -, rispose il nativo. - Y su nombre? Io soy Pedro.

Griffin -, disse ancora l'interessato. - Griffin y nada mas.

Griffin rimase un po', mentre scambiava due parole con il contadino, a osservare come affascinato il gioco delle mani e della vanga dell'uomo sul suolo del campo: per compensare la sua menomazione, doveva conoscere a memoria la posizione di ogni zolla, di ogni sasso, di ogni filo d'erba. Cominciava a essere persuaso che tutto quel che aveva sentito dire su quel luogo era vero.

Il contadino gli confermò che il villaggio era giù nel fondovalle, ancora una mezz'ora di cammino per una persona in buone condizioni fisiche.

Dopo averlo salutato, Griffin si voltò ancora una volta a fissarlo. Era la prima persona dopo tanto tempo che lo aveva guardato – beh, non guardato, considerato – come un essere umano e non come un fenomeno da baraccone o un'anomalia di cui avere timore.

Il paese, riuscì a vederlo quando ci fu quasi davanti: sembrava come mimetizzato, le case erano fatte con sassi, argilla e canniccio come se fossero rattoppate con materiali che formavano gli accostamenti cromatici più strani. Era ovvio che fosse così, si disse, per quella gente la sensibilità cromatica non aveva importanza, nemmeno riusciva a immaginare che cosa fosse.

Molte teste si girarono verso di lui: uomini e donne di diverse età, anziani, bambini, tutti avevano gli occhi biancastri come quelli di Pedro, eppure parevano perfettamente consapevoli della sua presenza, avvertivano i suoi passi, forse il suo respiro.

Non sapendo come rompere il ghiaccio, si girò verso la soglia di un'abitazione e domandò:

- Agua, por favor.

Dalla penombra della soglia sbucarono due mani che gli porsero un orcio di terracotta colmo di acqua. Griffin bevve, e man mano che beveva si rendeva conto dell'arsura che la sua lunga escursione gli aveva messo in corpo, ma la sete fisica ne celava un'altra, più profonda, più antica, di voci, di contatti, di calore umano.

- Gracias -, quasi balbettò. - Muchas gracias.