Ciò che però attirava di più le fantasie dei soldati era un altro fattore: l’astronave. Shibai gli aveva rivelato che la luce lampeggiante che si riusciva a distinguere nel cielo nelle notti più limpide era un’astronave in orbita intorno al pianeta. Un’astronave aliena. Sfruttando la potenza dei trasmettitori a lungo raggio, gli Invisibili si erano messi in contatto con una nave stellare di una civiltà sconosciuta, ma che aveva rivelato loro di essere da tempo nelle vicinanze del pianeta per comprendere gli avvenimenti che vi stavano avendo luogo negli ultimi decenni. Gli Invisibili erano riusciti ad ottenere la fiducia di quegli esseri illuminati, che avevano infine deciso di aiutarli. Secondo le voci che correvano, quotidianamente gruppi di Invisibili venivano portati a bordo della nave per lavorare insieme agli alieni e tentare di trovare una soluzione al conflitto. Era stato deciso che, quando sarebbe giunto il momento, l’astronave si sarebbe rivelata e avrebbe imposto la pace incondizionata in cambio di aiuti tecnologici e umanitari. Tutti ne erano ormai certi: la pace era prossima, e il paradiso in terra sarebbe giunto presto.

Il paradiso… Nori, steso sulla terra sporca nell’oscurità appena rischiarata dalla terza luna che spuntava a sud, sospirò. Shibai non avrebbe mai visto quel paradiso. L’amico non gli aveva voluto mostrare la propria delusione in punto di morte: mentre Nori correva verso il campo medico con le gambe che a ogni passo successivo cedevano sotto il peso del corpo morente di Shibai che reggeva sulle spalle, questi cercava di esortarlo a lasciar stare, a fermarsi e a lasciarlo morire in pace. - Non c’è più senso, per me, nel cercare il paradiso degli Invisibili -, gli aveva sussurrato nell’orecchio mentre Nori chiamava in soccorso i commilitoni perché lo aiutassero a portare Shibai in infermeria. E poi Shibai era morto, poco prima che i medici lo riuscissero a stendere su un lettino da campo, e Nori aveva capito che il suo amico aveva ragione, era riuscito a raggiungere il paradiso prima di lui.

Da quel giorno non ne erano trascorsi che dieci o poco più, quando Nori era infine fuggito. Non aveva ancora deciso il momento giusto per farlo, anche perché non sapeva dove andare a cercare gli Invisibili una volta giunto nella terra di nessuno. Ma l’aveva spinto la necessità. Il giorno prima si era recato dal generale di brigata Moshiel Dimeno per fare rapporto sullo stato delle provviste, e si era imbattuto in una conversazione tra il generale e il maggiore Zulika. Erano rivolti verso una carta topografica appesa alla parete, e gli stavano dando le spalle; Nori aveva sentito chiaramente i loro discorsi. - Sempre più gente ne è a conoscenza -, stava dicendo Zulika con un tono chiaramente poco contento. Il generale Dimeno aveva annuito: - Bisogna prendere provvedimenti -, rispose. - Gli Invisibili stanno avendo sempre più presa sui nostri soldati, e del resto non posso certo dar loro torto. Abbiamo sbagliato a ignorare il problema così a lungo. Ci siamo esposti troppo al pericolo che… -, e il generale Dimeno si era voltato improvvisamente, e aveva visto Nori.

Gli avevano messo dietro alcuni sottufficiali per tenerlo d’occhio. Nori era troppo esperto per lasciarsi ingannare. Lo aveva capito subito, ed aveva capito anche che non avrebbe più avuto molti margini di movimento. Se voleva farcela, doveva agire prima che i superiori decidessero di toglierlo di mezzo. E quella sera stessa, approfittando di un momento di confusione generato da un’esplosione di una carica di munizioni nel campo, aveva superato gli sbarramenti dei fili spinati e dei fossati ed era penetrato nella terra di nessuno.

Ora era lì, tra i corpi di soldati morti da chissà quanto, nel buio totale, senza sapere dove cercare, cosa cercare. Ma era felice di essere finalmente fuggito. Era libero. Ma non doveva indugiare oltre nel riposarsi: non lo avrebbero cercato prima dell’alba, e anche allora forse non lo avrebbero cercato affatto. Il rischio, però, non poteva essere corso: doveva trovare gli Invisibili al più presto. Nori cominciò di nuovo a strisciare, perché non osava alzarsi in piedi. Cercava qualcosa, un po’ di terreno smosso, un segno di una tecnologia, qualcosa che gli potesse indicare una porta d’accesso alla base degli Invisibili. L’unico indizio era il punto dove tre mesi fa aveva scorto le ombre dalla torretta orientale, ma era difficile determinarne con esattezza la posizione.

Poi, all’improvviso, si bloccò. Non poteva essersi sbagliato: aveva sentito un rumore, e molto vicino. Cercò di appiattirsi al suolo e di divenire, come coloro che stava cercando, invisibile. Il rumore prese forma, e Nori distinse poco davanti a sé un uomo che camminava verso di lui. Il suo cuore mancò diversi battiti, mentre sperava che l’uomo non si fosse accorto della sua presenza. Ma poi fu colpito in pieno viso da una luce. La luce di una torcia. «Buonasera. Ha perso qualcosa?», gli domandò quello con la torcia, guardandolo dall’alto. Nori cercò di alzarsi ma scoprì di non riuscirci. Gli dolevano tutti i muscoli. Al che, l’uomo spense la torcia e lo aiutò ad alzarsi in piedi. Quando riuscì a reggersi autonomamente sulle sue gambe, Nori fissò l’uomo senza sapere che dire. - Da quale battaglione vieni? -, volle sapere questi.