Se Dio avesse voluto che l'uomo volasse, l'avrebbe fatto nascere con un biglietto

Mel Brooks

Talib si avvolse nella coperta di lana, batté i piedi sull’assito del minareto e bevve un altro sorso di karkadè. Posò la tazza sullo sgabello che aveva accanto e riprese ad armeggiare con i manubri del telescopio: spostò la lente da occidente ad oriente e mise a fuoco le formazioni di luce, che galleggiavano nel cielo terso notturno alte diecimila metri sulle dune di Laâyoune-Boujdour. Le navette degli sponsor e gli shuttle di servizio attraversarono la troposfera e la tropopausa lattiginosa, accompagnarono le capsule degli atleti nelle tenebre mortali della gelida stratosfera: sulla linea di partenza della Coppa Baumgartner a cinquanta chilometri dal suolo del pianeta.

Talib seguì l’ascesa degli sciami di navicelle finché l’idrogeno dei loro razzi si spense nell’oscurità: il barbaglio degli scafi color Virgin, Coca-Cola, Amazon, Microsoft, Apple e Nike fu eclissato dalle stelle e si smorzò nell’iperuraneo; nel liquido firmamento riflesso dagli specchi per ettari di cristallo tutt’attorno sotto di lui. L’ottica della centrale fotovoltaica, oltre, era cieca: Talib, sconsolato, richiuse i tappi sulle due lenti del telescopio, riavvolse lo strumento nella cerata e scese dal minareto nella sala ricreazione.

La rampa delle scale echeggiava dell’entusiasmo, del tifo feroce, le scommesse e l’eccitazione degli operai della centrale che accorrevano agli oloschermi: provvisti di datteri, birre e kebab acclamavano la diretta della finale di Salto in Orbita.

Talib trovò la sala già satura di cannabis, vapori di narghilè; le stuoie ed i cuscini quasi tutti occupati. Gebre e Bandele, sudati, agitati, si rannicchiarono ginocchia al petto su un tappeto e lo invitarono in quell’angolo di tela:

- Dài, ti perdi il balzo, muoviti! -

Talib si fece largo nella calca, sedette, rintronato da vuvuzelas e dai cori dei supporter.

- Com’è, dal minareto? -, gli chiese Bandele.

- Troppo freddo, non ho resistito; ma, soprattutto, ci hanno dato un telescopio di merda. -

- Di che cosa ti lamenti? -, Gebre esultò, - È già un evento che atterrino da queste parti: i campioni del Salto in Orbita, Gesù! Quando cadranno, avrò l’autografo di tutti i vivi! -

- Non credo saranno molti -, Talib incupì, - tolti i soliti morti per embolo fra i cinquanta e venti chilometri di altitudine, e quelli cui potrebbe non aprirsi il paracadute, il vento stanotte è molto forte: c’è il caso li sfracelli nel palmeto, o peggio ancora sui pannelli fotovoltaici. -

Sullo schermo suonò lo Zaratustra di Strauss che introduceva le dirette Spazio-Terra; il logo SkyWorld si dissolse in uscita. La sala esplose in un festoso ruggito. L’olovisore trasformò la parete dello stanzone nella curva del pianeta candido e ceruleo: dodici capsule, con impressi altrettanti marchi, galleggiarono allineate poco sotto il soffitto; il pubblico sprofondò in un’oscurità allucciolata.

- …se però sai cavartela -, Bandele sospirò, - quanto dev’essere bello, tuffarsi da quelle capsule? -

La voice-over dei cronisti sportivi salutò gli spettatori e annunciò la finale. Mentre gli atleti, nel chiuso delle navicelle, si preparavano alla discesa a mach 1.24 a corpo libero oltre il muro del suono, gli anchormen riepilogarono la storia del Salto in Orbita dall’origine dello sport mezzo secolo addietro: le imprese del fondatore Baumgartner, cui la coppa era dedicata per l’impresa 2012; gli eventi del campionato fin lì, gli atleti morti e i favoriti fra i finalisti. Discussero sulla scelta del Sahara come campo di atterraggio per quell’ultima gara e, nello specifico, dell’area Soleil Fournit dall’omonima centrale.

Tutti quanti nella stanza schiamazzarono urrah!; e il logo della loro Compagnia, un disco solare antropomorfo e barocco, sorse sull’ologramma sull’emisfero terrestre:

Un counter rosso fuoco, in un angolo dello schermo, contò nove miliardi di spettatori del grande evento: novemila milioni di abbonamenti venduti, consumatori di bibite, high-tech, fast food, cosmetica, moda, entertainment e fitness. Una coltre d’introiti ricopriva il pianeta.

Fra i volti in delirio nell’azzurrino della tivù a Talib mancò quello di Samia. Strattonò i due colleghi:

- Dov’è mia sorella? -

- Ho dato a Kantigi le chiavi di un aeroscafo -, Bandele arrossì, - stasera qui in centrale c’è troppa confusione: a loro del Salto in Orbita non importa granché, due giovani innamorati preferiscono l’oasi. Ed è meglio così. -

Lui trasecolò:

- Tu ti sei permesso?!... Mia sorella con tuo nipote?! -

- Samia per oggi è salva, fidati amico: i ragazzi di solito s’imboscano in infermeria, lo sai com’è difficile sorprenderli. Con tutte le misure di sicurezza adottate nei paraggi stanotte, quei due, nel palmeto, non riusciranno a combinare granché. Magari va a finire come hai detto: che il vento fa loro piovere un atleta sui sedili, mentre… -, alluse all’incidente con un gesto volgare.