Quella mattina Enrico Armini si svegliò con un’idea conficcata nella testa.

Si rigirò tra le coperte. Come mai  quel pensiero (che in verità lo accompagnava da tanti anni) ora lo torturava come un coltello in una ferita? Irene dormiva. Sgusciò fuori dalle coperte, si vestì e uscì.

Erano le otto e mezza e il traffico urbano appariva al culmine. La giornata di dicembre si presentava gelida ma frizzante. Girovagò per i giardini del centro, nervosamente, e all’improvviso prese una decisione un po’ pazza… Ma sì, tanto valeva provare, una buona volta!

Il negozio che cercava era in una stradina defilata: roba elettronica per giovanissimi, ma anche un reparto di tecnologie costose e all’avanguardia. L’insegna era “PlayTime.” Entrò, diretto al reparto sperimentale.

Vide venirgli incontro, dietro un vasto bancone, un giovane vestito ultima moda, folti capelli luminosi, iridi color giallo cadmio. Armini disse: “So che noleggiate un programma di… di…” Accidenti, proprio in questo momento aveva uno dei suoi buchi nel cervello!

Ma il giovane doveva aver colto al volo: “Tutto il tempo che resta, vero?” Sorrise.

“Giusto! Così si chiama. Ha subito afferrato, lei”.

“È sempre molto gettonato. E poi, mi scusi, ma lei ce l’aveva scritto in faccia… Mi dica, per che periodo lo vuole tarare?”

Armini rifletté qualche secondo. “Facciamo… dieci anni.”  Sì, dieci anni sarebbero stati un magnifico periodo.

“Mi segua, signore. Duecento euro, pagamento anticipato.”

Duecento. Questa non se l’aspettava. Ma sì… ormai era in gioco. Pagò. Il giovane lo accompagnò in una piccola stanza e lo fece sdraiare a una postazione. Poi gli calzò sul capo una specie di coroncina piena di collegamenti e dalla quale si diramavano centinaia di elettrodi sottili come capelli, che il giovane gli sparpagliò sul cranio semicalvo. Poi gli applicò un paio di occhialoni totalmente neri, da cui non trapelava un filo di luce. “Non si agiti, signor Armini. Il programma non parte se lei non si rilassa perfettamente.” Armini cercò di calmarsi…

Fu un istante: di colpo si trovò su un immenso prato verde. Era lì con i tre nipotini: finalmente riusciva a trascorrere una giornata, una splendida giornata con loro! Poco più tardi venne Amelia, e chiacchierando andarono a casa per pranzare. Cibo eccellente, vino ottimo: un nero “primitivo”, di almeno 14 gradi. Il pomeriggio riposò, poi andò al cinema con i bambini.

Il giorno dopo lui e Irene partirono. Furono sulla Muraglia cinese, alle Hawaii e in Antartide. Tornarono. Venne l’estate, e andavano sempre al mare. L’autunno Natale. Era già trascorso un anno!

Poi il tempo parve volare. I nipotini crebbero, lui trovò un lavoro-passatempo in Internet (era nella giuria di alcuni premi letterari). Due anni, tre. In salute stava benone. Morì Arnaldo, l’amico più caro. Funerale, nero, dolore. Uno dei nipoti passò alle medie. Quattro anni, cinque. Solita vita, ma intensa. Sei.

Acquistarono una villetta in Puglia, sulla Murgia; lui zappava il terreno. Sette, otto. D’estate i fichi, l’uva, le albicocche, le gite. Nove. Il mare. Giunse l’altro suo compleanno: 80 anni. Dieci! Voleva…

Di colpo si riebbe: vide che era sdraiato, non capì dove fosse, né chi era il giovane che lo fissava. Armini gli chiese perplesso: “Che fa lei? Ma dove sono?”

Il giovane sorrise. “Prego, si alzi… è finita”.

Finito cosa? Chi dava ordini perentori a un vecchio ottantenne? Si sollevò a fatica, poi… Finalmente ricordò tutto, in un lampo. “Quanto tempo è trascorso?” chiese con ansia al giovane.

Quello rispose sorridendo: “Si tranquillizzi, signor Armini… I suoi 10 anni sono durati solo due ore!”

Armini scese dalla postazione, un “Arrivederci” e subito uscì in strada, ridendo da non sapersi frenare. Sentì salirgli una gioia straripante. Si mise a correre, correre come un pazzo come non faceva da secoli, e a cantare a squarciagola, le braccia sollevate.