Nei giorni successivi si avvicendarono altri tre o quattro duelli. Vi sembrerà strano, ma a questo punto il ricordo si fa un po' confuso, era come vivere in un incubo ricorrente, un balletto di morte sempre uguale e ossessivo. Parata, affondo, parata, affondo... Fu solo dopo l'ultimo combattimento, quando ebbi trafitto la gola del mio avversario con un colpo di spada preciso che lui non riuscì a schivare, che realizzai l'incredibile: quel duello era stato l'ultimo, lo scontro finale, non ce n'erano altri, avevo vinto e ora ero il padre.Adesso avevo accesso al luogo più segreto, più intimo, più importante di tutto questo nostro mondo sotterraneo che chiamavamo “il formicaio”, il mozzo attorno al quale giravano tutti i raggi della ruota: la camera di accoppiamento. Preceduto da un Custode e accompagnato da molti servitori disposti intorno a me a raggiera, entrai nell'alcova al cospetto della madre.Era, lo vidi subito, una persona dall'aspetto imponente e anche alquanto diversa dalla maggior parte delle figure femminili che avevo visto nei libri: quella a cui somigliava di più era una statuetta preistorica di cui avevo visto l'immagine, la cosiddetta Venere di Willendorf: un aspetto che se valessero ancora i criteri estetici degli uomini del vecchio ceppo, si dovrebbe definire obeso: un corpo forse maggiore in circonferenza che in altezza, che si muoveva a fatica, con due enormi seni e due natiche altrettanto gigantesche; ovviamente non c'era l'appendice inguinale, ma una grande apertura nel bacino, quella leggendaria vagina dalla quale forse tutti noi, e certamente tutti quelli della generazione più giovane, eravamo usciti.

Mi guardò senza troppo interesse.

- E così tu sei quello nuovo -, mi disse in tono distaccato.

Io non risposi, provavo una sensazione per niente facile da descrivere, sconvolgente e intensa. Vidi che l'asta del pene, quella cosa in cui si era trasformata la mia appendice inguinale, si era ingrandita ed era diventata rigida.

- Risparmia le tue forze, soldatino -, disse lei. - Ci aspetta una lunga, lunga partita.

Aveva ragione, oh se aveva ragione. Accoppiarmi con lei tutti i giorni, tre o quattro volte al giorno era la mia sola occupazione, il compito che dovevo svolgere per il bene della comunità, e vi assicuro che fu faticoso, stancante; all'inizio era piacevole, ma anche il piacere diventa un incubo quando viene spinto oltre certi limiti. D'altra parte sapevo che quando non ce l'avessi fatta più, il mio destino sarebbe stato lo stesso del padre che mi aveva preceduto e di chissà quanti altri padri prima di lui: essere ucciso e divorato dalla madre.

In quel periodo imparai molte cose: ad esempio che non sarebbe stato possibile modificare il sistema riproduttivo umano per renderlo simile a quello degli insetti senza un consistente aiuto da parte della tecnologia. L'organismo, il ciclo biologico femminile era stato modificato in modo da ridurre il tempo del ciclo a una settimana durante la quale le ovaie della madre liberano non una, ma centinaia, migliaia di cellule-uovo che dopo la fecondazione e una “gravidanza” di un'altra settimana sono “partorite” sotto forma di embrioni estremamente immaturi che sono subito raccolti dagli inservienti e trasferiti negli uteri artificiali dove completeranno il loro sviluppo, quindi il ciclo ricomincia.

È successo l'impensabile o almeno quello che noi credevamo impensabile. Sono passate tre settimane dall'ultima volta e, nonostante i soliti ripetuti accoppiamenti giornalieri, “lei”, la madre, la mia compagna non ha partorito nulla né iniziato un nuovo ciclo: gli inservienti ci guardano incerti e inoperosi.

Ho capito quasi di colpo quello che è successo: la madre aveva semplicemente esaurito le sue cellule-uovo, una cosa che nelle femmine umane del vecchio tipo era chiamata menopausa.

Lei ha capito che io avevo compreso. Si è voltata verso di me, ma io non ho guardato la sua faccia: fissavo il suo grosso corpo osservandolo dal basso, dai piedi fin verso il collo, che mi è parso il punto più debole della sua struttura corporea.

Sono stato preso da un impulso incontenibile, un impulso che viene direttamente dai geni: la vita di un individuo non conta nulla rispetto alla sopravvivenza della comunità, e una madre sterile per la comunità è una condanna a morte.

Le mie mani sono scattate attorno al collo della madre e hanno cominciato a stringere quasi da sole. Lei ha lottato un po', si è agitata debolmente, poi si è lasciata andare: sembrava rassegnata al suo destino.

Ho giaciuto a lungo accanto al cadavere della madre, poi il mio corpo è stato percorso da un impulso talmente intenso da essere scosso da brividi, un impulso famelico: mi sono avventato sul corpo della madre e ho cominciato ad addentare e divorare quelle carni gonfie di ormoni femminili, a inghiottirne brandelli sempre più grandi.

Ho giaciuto per giorni nell'alcova nuziale trasformata in mattatoio accanto al corpo semidivorato della madre nutrendomi, giacendo, dormendo.

Mentre il corpo della madre si riduce a un ossame spolpato, anche il mio sta cambiando: gli ormoni, gli estrogeni che circolavano in abbondanza nel suo corpo, ora hanno innescato una trasformazione in me: sto perdendo le caratteristiche maschili acquisite mesi or sono.

Il pene e i testicoli hanno cominciato a rientrare all'interno del mio corpo dove si trasformeranno in organi del tutto diversi, hanno lasciato uno spazio vuoto che somiglia sempre di più, sta diventando una vagina.

Mi stanno sparendo i peli da tutto il corpo, tranne che sotto le ascelle e all'inguine, i seni e i glutei si stanno dilatando, stanno diventando sempre più voluminosi.

Mi sono alzata dall'alcova e ho chiamato gli inservienti: ho fatto portare via le ossa di colei che probabilmente mi ha generata, è stata la mia compagna per alcuni mesi, mi ha preceduta nel ruolo di madre della colonia.

Come mi aspettavo, nessuno ha detto nulla.

I Custodi dovranno preparare una nuova selezione per trovare un nuovo padre della colonia.

Adesso la madre sono io.