- E facciamo in modo che non succeda come l’ultima volta!

- No mamma.

- Niente feste, niente amici e soprattutto niente problemi con i vicini!

- Sì papà.

Martha baciò prima la guancia del padre che profumava di dopobarba, poi quella della madre.

Un colpo di clacson appena accennato risuonò dal giardino: il taxi che avrebbe portato i signori Simmons all’aeroporto era arrivato.

Martha guardò i genitori trascinare i trolley lungo tutto il vialetto, attese che montassero in macchina e infine rispose al bacio che dal lunotto dell’auto le mandò la madre.

Nonostante si fossero trasferiti lì da ormai tre anni, le faceva ancora un certo effetto stare sulla porta di casa in shorts e maglietta il ventitré dicembre, ma si stava abituando ai caldi Natale di San Diego.

Quello che proprio non riusciva a sopportare era la neve finta spruzzata dalla madre su alberi e siepi che, a suo dire, “faceva il Natale più Natale”; come commentare poi il pupazzo di neve in gommapiuma e bambagia piantato in mezzo al giardino? Per un istante brevissimo provò una fitta d’invidia nei confronti dei genitori che stavano tornando dove avevano vissuto: nel freddo Massachusetts, dove i Natale erano bianchi per davvero.

Suo padre, ingegnere in robotica con una laurea in bionica, aveva lavorato per molto tempo come ricercatore al leggendario M.I.T., nel corso di quegli anni realizzò anche numerosi brevetti che cedette poi all’esercito americano; l’operazione gli fruttò parecchi milioni di dollari che investì nell’acquisto della villetta a San Diego dove ora vivevano.

Chi apprezzò in misura maggiore quel trasloco fu la madre che lì, in California, aveva ritrovato le temperature lasciate in Italia sua terra di origine, forse anche con qualche grado in eccesso. Anche dopo il trasferimento nella nuova località, il padre aveva continuato la propria attività di scienziato e approfittando della pausa natalizia, si stava recando con la moglie a Boston per un convegno presso il M.I.T., proprio per discutere di un suo recente progetto.

Martha restò sulla soglia ancora per qualche istante, inspirò a pieni polmoni l’aroma salmastro della brezza che soffiava dalla costa, infine si decise a rientrare richiudendo la porta alle proprie spalle: una serie interminabile di pagine e capitoli da studiare l’attendevano nella sua stanza.

D’altra parte, erano proprio quegli esami da preparare che l’avrebbero costretta a passare la vigilia di Natale a casa da sola. I suoi sarebbero rientrati non prima del 26 dicembre, dopo aver festeggiato il 25 a casa dei nonni a Buffalo. L’orologio segnava le quattro del pomeriggio, l’ora giusta per uno spuntino. Attraversò la sala, recuperò il suo iPod dal divano e con Thunderstruck degli AC/DC nelle orecchie si diresse verso la cucina, si arrestò solo un instante davanti all’anta a specchio del guardaroba a muro del corridoio, diede un’occhiata colpevole al girovita, peraltro in forma invidiabile, poi scrollò le spalle e riprese la sua marcia verso il frigorifero; stava meditando se puntare sul dolce della marmellata di fichi o ripiegare sul salato quando il cellulare vibrò nella tasca posteriore dei calzoncini.

- Dimmi mamma.

- Ti ho chiamata sul fisso, ma non hai risposto. Stai già organizzando le serate con i tuoi amici?

- No mamma, io...

- Marta, ti ricordo che rimani a San Diego per un preciso motivo!

Sentire pronunciare il suo nome dalla madre in quel modo la innervosiva, il fatto che ommettesse il suono della “h” equivaleva a un richiamo implicito.

Sì, lo sapeva, quando nacque i suoi genitori scelsero un nome che esistesse nelle rispettive lingue di origine, ma – fatto piuttosto curioso - a seconda che venisse chiamata dal padre o dalla madre, Martha visualizzava nella mente il proprio nome come l’avrebbero scritto, anche se di fatto il suono era il medesimo.

Quando però sua madre la riprendeva, la pronuncia cambiava in modo radicale e lei diventava inequivocabilmente Marta. Senza acca.

Sospirò – Non ti preoccupare mamma, lo so bene che devo studiare. Stavo solo ascoltando la musica con l’iPod. Siete già all’aeroporto?

- Un giorno diventerai sorda per davvero!

Martha sollevò gli occhi al soffitto.

- E no, non siamo ancora all’aeroporto, sulla freeway c’è stato un incidente e il taxi ha dovuto deviare per la statale, dovremmo arrivare appena in tempo per l’imbarco, ma non ho chiamato per questo.

- Che altro è successo?

- Tuo padre dice, dice... Che dicevi Daniel? – si sentì un parlottare confuso – ah sì, uno degli aggeggi di tuo padre segnala che la porta del laboratorio è aperta: avrà dimenticato di chiuderla. Dovresti scendere e farlo tu. È sufficiente accostarla, poi la serratura automatica si bloccherà da sola.

- Va bene.

- Tuo padre si raccomanda di farlo subito. C’è il prototipo del suo progetto là dentro: qualcosa di poco sicuro. Soprattutto per le mine vaganti come te.