L'hype che ha preceduto Pacific Rim era di quelli che potevano facilmente trasformarsi in un boomerang mediatico di quelli che in passato sono riusciti a stroncare produzioni del calibro di Final Fantasy che riuscì quasi a mandare in bancarotta la Square Pictures.

Ma, diciamolo chiaramente: Guillermo Del Toro partiva con le spalle ben coperte. Il suo Pacific Rim, fin dai primi concept per arrivare ai trailer che hanno imperversato negli scorsi mesi, era un progetto calibrato al millimetro per attirare al botteghino folle oceaniche di otaku ed ex anime-addicted che negli anni ottanta e novanta hanno fatto il pieno di un certo tipo di suggestioni... e ai quali la prospettiva di vederle realizzate in carne, ossa e CGI in un film ad alto budget (e persino con un tocco di autorialità) dev'essere sembrato un dannato sogno ad occhi aperti.

Anch'io – che pur non essendo particolarmente appassionato del genere – riesco a ricordare ancora piuttosto bene (e con un certo affetto) tutta l'epopea di Goldrake (ai tempi in cui la Rai la trasmetteva il pomeriggio col titolo di Atlas Ufo Robot), e ai tempi mi sforzai di salvare tutto il salvabile in un film in drammatico anticipo come Robojox, avevo una certa curiosità. 

E visto che non mi piace perdere tempo, giovedì scorso, come tanti altri, ero in sala a godermi le due ore e dieci, rigorosamente in 2D, di Pacific Rim. Uscendone con più dubbi che certezze. Cosa ho visto? Senza ricamare troppo e a sintetizzare brutalmente, un b-movie maestoso che avrebbe dovuto spingere decisamente più forte sul pedale del dramma piuttosto che cercare in ogni aspetto (il ritmo, l'estetica, le dinamiche tra i personaggi, la costruzione) di essere un gigantesco anime di Go Nagai... ma dal vivo.

Il che, lo ripeto: sarà esattamente il motivo per il quale milioni di nerd adoranti lo stanno esaltando e continueranno a farlo anche dopo che il polverone si sarà posato e Pacific Rim non avrà aggiunto nulla all'immaginario collettivo di noi tutti. Perché ogni cosa che si vede nel film è già stata celebrata, codificata, metabolizzata negli anni ottanta e poi a seguire, senza soluzione di continuità, fino ai giorni nostri. I Robot da combattimento, i piloti eroici, il comandante burbero ma fiero, la giapponesina fragile ma tosta allo stesso tempo? Ci sono. L'estetica di gente come Hideo Kojima (Metal Gear), Yoshiyuki Sadamoto (Evangelion), Go Nagai e compagnia? In. Ogni. Singolo. Fotogramma. Top Gun, i film di Godzilla e il Giappone in generale? Finché ne volete. Il già citato Robojox di Stuart? Ovvio (solo con i soldi, tanti soldi in più). La saga di Transformers tutta? Check. Cloverfield? preso. 

Quello che dovrebbe essere il pregio principale di Pacific Rim (e cioè la sua estetica ma anche tutte – ma proprio tutte – le dinamiche, i meccanismi narrativi e gli stilemi drammatici ricalcati carta carbone dagli anime anni ottanta) è anche il suo limite più evidente. Perché da tutto questo mash-up confezionato con mestiere (e questo è inutile negarlo) la montagna partorisce un costoso clone, imbattibile dal punto di vista visivo ma del tutto sterile sul piano emozionale. Ma, del tipo, che con le lolite di Sucker Punch ho avuto più condivisione. E Sucker Punch l'ho lasciato sullo scaffale della Fnac anche quando l'hanno messo in offerta a nove euro. Fate voi. 

A ogni modo, sputata fuori la cosa peggiore del film (che, per quanto mi riguarda, è il solo, grosso motivo che gli impedisce di diventare un cult), vi rimando a una qualsiasi delle recensioni entusiastiche che stanno fiorendo praticamente ovunque e farla vostra. Non perché non mi vada di descrivere i pregi (che comunque ha) Pacific Rim, ma perché, quasi certamente – e a dispetto di quello che posso dirvi io o altri spettatori rimasti freddini – il film vi piacerà… e quando inizierete a vedere (praticamente, da subito) robot alti quaranta metri che le danno di santa ragione a rettiloni grossi come portaerei che sbucano da una faglia oceanica come fanno gli scarafaggi dalla crepa di un muro (non c'è molto altro da vedere), vi scorderete quasi all'istante di star guardando una replica dilatata di una qualsiasi puntata del vostro tokusatsu movie o anime preferito (Evangelion o un altro a vostra scelta), replica messa (magnificamente) in scena da batterie di workstation multi-core supervisionate da un cineasta di un certo talento.

In altre parole, un qualcosa che non vi riserverà alcuna sorpresa (neanche a cercarla passandolo al setaccio), non cambierà la storia del cinema (e neanche del genere) e non vi cambierà la vita. Magari, potrà diventare il film della vita per qualcuno di voi. Per tutti gli altri, vi consiglio di aspettare ancora. Magari il prossimo Neil Blomkamp.

Solo qualche nota a margine:

1) I robottoni sono belli (ancora più di come li abbiamo visti nei mesi scorsi nei poster e nei tralier). Belli. Belli (l'ho già detto?). E filmati bene. Il fatto che i combattimenti siano tutti sotto la pioggia e tutti di notte, è un vecchio trucco per buttare in caciara la CGI. Ma funziona bene.

2) Una delle protagoniste è l'attrice giapponese Rinko Kikuchi (nota per il suo ruolo in Babel) e, incidentalmente, è l'unica donna presente nel film... quindi, vedete di farvela piacere.

3) I costumi sono tutti ben disegnati, ben costruiti e ben animati. Niente di particolarmente innovativo (quelli di Tron Legacy sono ancora lo standard da battere), ma funzionano alla grande.