Prima di rendermene conto avvertii uno strappo, qualcosa di duro e tagliente mi artigliò il petto. Nel medesimo istante, a occhi chiusi, calai un fendente con quanta energia avevo.Udii uno scricchiolio di ossa, dove il piedistallo di metallo incontrò resistenza: un grido spaventoso, diverso da qualunque cosa avessi mai udito, riecheggiò nella stanza.Riaprii gli occhi, giusto in tempo per scorgere l’obbrobrio dimenarsi impazzito, le fauci spalancate. La testa sanguinava e un taglio slabbrato gli solcava la fronte.

Vacillando confuso caracollò fino alla tenda, guadagnando l’uscita attraverso la finestra. Senza pensare mi sporsi. Sotto la luce della luna l’intravidi sul cornicione finché non scomparve nell’intreccio tentacolare del glicine.

Inorridito, caddi in preda a un tremore incontrollabile.

Mi era andata bene. In caso contrario, non oso immaginare come sarei finito.

Mi affrettai a rientrare e sbarrai gli scuri e la finestra.

Il sonno era passato: dopo un simile spavento, chi aveva il coraggio di riaddormentarsi?

Andai in bagno e vomitai. Quando mi ripresi, cercai tra le medicine qualcosa per lenire il bruciore delle ferite.

Disinfettai con ostinazione l’artigliata che aveva strappato la maglia, come a cancellare il contatto impuro con la creatura: nella mia mente, la vedevo ancora lì presente. Poi risistemai la stanza e ripulì la lampada che mi aveva salvato la vita.

Esausto mi buttai sul letto. Per non pensare ai quei terribili momenti accesi la tv custodendo in grembo l’abat-jour. Vegliai così tutta la notte. Al diavolo il prosieguo della riunione. Avrei inventato una scusa per non presentarmi.

Quando cominciò ad albeggiare gettai ogni cosa in valigia, compresa la tshirt che serbo come prova, e me ne andai.

Frastornato, gli occhiali da sole a mascherare il viso, scesi alla reception, sperando che nessuno notasse le mie condizioni. Saldai il conto, senza proferire una parola sull’accaduto. Non volevo mi prendessero per pazzo, anche se il ricordo di quella notte mi perseguiterà finché avrò vita da vivere.

Quando riuscii a guardare a quell’esperienza con maggiore distacco, svolsi ricerche approfondite sulla zona tra Trinità dei Monti e via di Porta Pinciana. Scoprii così che il sottosuolo era percorso da una vasta e intricata rete di tunnel, scavati nel tufo, ed esplorati in minima parte. A volte, le gallerie erano poco più di un punto sul fianco della collina, e mascheravano l’ingresso di cunicoli che scendevano per centinaia di metri nelle viscere della terra. Alcune erano state sfruttate anche come catacombe, ma il luogo rivelò altre sorprese.

Come avevo intuito l’albergo sorgeva sui resti di un antico tempio romano e questo era consacrato a Iside, culto importato dall’Egitto e legato alla conoscenza. Nella mitologia il simbolo della dea era l’astro di Sirio. Lo stesso che avevo visto riflesso negli occhi dell’essere che mi aveva assalito. Scoprii che molte civiltà consideravano Sirio la casa dei “Maestri” dell’umanità, scesi sulla Terra in un’epoca remota diffondendo il loro sapere.

Nel mio caso, ero convinto di essermi scontrato con uno di loro. Un extraterrestre rimasto intrappolato per qualche motivo sul nostro pianeta. Disperso, senza contatti con i suoi simili, si limitava a sopravvivere. Da migliaia di anni.

In verità, non ho mai svelato a nessuno questa storia.

So soltanto che la ferita che mi ha inferto a volte mi causa delle fitte, ma è un male trascurabile. Sul petto, invece, attorno alla pelle cicatrizzata, sono cresciuti peli ispidi e scuri, diversi dagli altri. E ora possiedo un’energia fisica che prima neppure sognavo.

Non so come sia potuto accadere. Ma sospetto che durante la lotta con la creatura, nel momento in cui eravamo entrambi feriti, il suo sangue si sia mescolato al mio, infettandomi in un qualche modo. Da lì ha avuto inizio il cambiamento.

Persino Chiara se n’è accorta, rimanendone colpita. In uno slancio di piacere mi ha confessato che a letto sembro un altro. Il fatto più notevole, però, sebbene meno evidente, è che con il passare dei giorni le mie capacità mentali crescono in maniera esponenziale. Dentro, sto cambiando.

Memorizzo decine e decine di programmi, ne focalizzo le istruzioni, scoprendone i bug, e mi comporto sempre più come un supercomputer umano. Eppure, non so che darei per sapere cosa mi sta succedendo.

Nella pace della notte, con il mento rivolto al soffitto, mi sono interrogato a lungo se non sia il caso di rivelare il segreto a Chiara, o consultare uno specialista. L’idea di aghi e tubi che bucano il mio corpo tuttavia mi atterrisce.

No, finire come una cavia non è la soluzione giusta.

Sulla pelle avverto il profumo del sesso che abbiamo fatto. Il ricordo dei brividi, dell’euforia e dell’esaltazione che ci ha uniti. Forse, per la prima volta lo sono davvero. Sì, sono felice.

Una forza sconosciuta, una febbre elettrica, incendia il mio corpo e mi impedisce di rimanere inerte. È come se ogni cosa assumesse un significato nuovo. Sto deragliando dalla realtà, e sto entrando in una dimensione parallela, senza sapere dove mi condurrà la benedizione oscura che io non ho chiesto.

Soprattutto, non so quale sarà il prezzo da pagare.

Sento che sarei in grado di realizzare qualsiasi cosa. Potrei progettare software avanzatissimi e intascare valanghe di soldi, ma sarei solo un altro miliardario di cui parlano i giornali.

No, più di tutto mi piacerebbe cambiare il sistema. Intendo quello vero, generale, che ci comprende tutti. Anche se sembra un’impresa assurda, o magari un’utopia, entro breve ne avrò le capacità. A quel punto si tratterà di decidere da dove iniziare.