— Da tre giorni riceviamo segnali inviati dalla Caterina Terza. — Proseguì Tudor. — Identificati in maniera certa dal codice della trasmittente. — Il contenuto? — chiesi con prudenza.

— Il problema non è il contenuto. — Ribatté l’altro nervoso. — Una semplice riga di testo del genere “va tutto bene”. Il problema è la provenienza.

L’Ammiraglio si avvicinò e abbassò la voce. — Ci arriva lo stesso messaggio a intervalli di trenta ore. Ogni volta da una diversa coordinata spaziale. E si somma ad altri.

Non aveva senso. — L’astronave si muove?

— No, comandante. — Fece una pausa e proseguì — Rileviamo in una zona ristretta i segnali di diverse astronavi. Il loro numero aumenta a intervalli di tempo regolari, così come i messaggi. — Respirò a fondo e concluse. — Ognuno con il codice base della nave di Larson.

— Ma non è possibile. — Replicai sussultando. — Il Codice è unico per ogni vascello. Se i dati sono corretti vorrebbe dire…

Tudor annuì. — Esatto! — esclamò. — Per quanto assurdo possa sembrare qualcuno o qualcosa sta creando copie della nave. Dobbiamo andare laggiù per vedere cosa succede. — Prese un olodisco e me lo consegnò — Questo è il dossier completo. Vi troverà dati, notizie e i suoi ordini. L’unica cosa che manca è la reale motivazione di questa spedizione. Quella — sorrise amaro, — dovrò comunicargliela solo a voce. Non ne deve restare traccia scritta.

Il giorno dopo, in gran segreto, sbarcai nell’Hangar Imperiale in orbita attorno a Nebur, satellite artificiale di Terra, per prendere possesso dalla mia nuova nave. Mi era stata affidata la G.I. Sandon Primo, nuova, concepita per i viaggi di esplorazione e con un equipaggio formato da personale esperto. La cosa che più mi infastidiva, comunque, erano le reali motivazioni della missione.

I militari, ovvio, si preoccupavano per lo strano fenomeno. Una nave che si duplicava in maniera inspiegabile in una zona inesplorata poteva nascondere qualsiasi pericolo. Per gli scienziati si trattava di un fenomeno inusuale, anche nell’intrigata varietà della Galassia. Ma il vero motivo per cui l’Imperatore aveva avvallato una costosa spedizione di soccorso, era di ben altro spessore.

Sua Maestà, nonostante i rischi del viaggio, aveva acconsentito che la sorella minore, l’intrigante e ambiziosa Gatienna, partecipasse alla spedizione esplorativa del comandante Larson. Con la prospettiva di levarsela dai piedi per almeno un anno standard. Ora rabbrividiva all’idea di averla persa nello spazio. Per la reazione dell’opinione pubblica, naturalmente, non certo per preoccupazione personale.

L’Imperatore desiderava la morte della sorella, ma non in questo modo. Sarebbe passato da irresponsabile, con la plebe pronta a accusarlo di aver mandato al macello la graziosa fanciulla. Prospettiva inaccettabile.

Bisognava quindi riportarla a casa, e anche in fretta.

L’urgenza mi aveva almeno permesso di ottenere, oltre ad un equipaggio esperto, anche il trasferimento di James Spencer, vecchio amico e compagno di numerose missioni. Sapevo di potermi fidare di lui in ogni occasione. James era un incrocio tra un meccanico di bordo e un ottimo scienziato. Taciturno e sarcastico, tendeva a fregarsene del mondo e dell’opinione del prossimo, ma era freddo e determinato in situazioni di pericolo. Uno di quelli che vorresti avere accanto quando sei nei guai sino al collo.

Lo trovai infilato in un vano motore, circondato da una cascata di scintille azzurre, mentre plasmava alcuni componenti con il laser. La tuta era sporca e lacera. Come sempre.

Tirò su la testa, aggiustandosi il ciuffo biondo ribelle e esclamò: — Peter Roxton! Che piacere vederti. Non hai preso un chilo, in un anno a terra.

— Sto mettendo su qualche capello bianco, in compenso — risposi dandogli una pacca sulla spalla. Poi continuai: — Cosa mi dici di questa nave?

— Una carretta di prim’ordine. Tecnologia all’avanguardia. — Si fermo perplesso e chiese. — Che missione ti hanno affibbiato, stavolta? Deve essere importante, per riesumarti.

Piegai la testa verso di lui. — Pericolosa, più che altro. Anche in senso politico.

Spencer annuì. — Corte Imperiale, vero? Ho visto un nobilastro aggirarsi qui per tutto il giorno. Tunica porpora, cerone bianco e anelli a tutte le dita grassocce.

— Mi hanno messo alle calcagna un delegato, incaricato di sorvegliare me e l’andamento della missione. — Scossi il capo amareggiato. — Un pomposo di fresca nomina i cui massimi meriti sono il fidanzamento con una contessa dai trascorsi sessuali disinibiti, amica del nostro amato Sovrano. Al netto di titoli, secondi e terzi nomi si chiama Hamilton Score.

— Una bella rogna.

Allargai le braccia e replicai: — Tutto lo fa pensare. Quando possiamo salpare?