In questo tempo.- Chi sei..?

La mia voce è un sussurro.

- Devi tornare.

- Cosa?

- Torna.

- Io…

- Attraversa la notte, Capitano.

D’improvviso mi strappa il tappo dalle dita e lo ingoia: deglutendo, il metallo smerigliato le lacera la trachea.

- No! - mi sento gridare.

Frenetica, cerco di fermare il sangue con uno strofinaccio, ma il tempo si annoda, mi prende alla gola e non vedo più niente.

L’Entòme avanza sui detriti delle esplosioni. L’addome pallido e rigonfio, in evidente fisogastria, termina con un turgido ovopositore che lascia copiose tracce di muco sul terreno. Luce rossa si riflette sui quattro gruppi di ocelli opachi che scrutano le macerie, il corpo curvo alla ricerca di qualcosa.

Sente forte la mia presenza, il mio odore.

La piccola testa umanoide si torce a scatti, attenta, i palpi mascellari vibrano impazienti.

Le lunghe e muscolose appendici cursorie, otto in tutto, iniziano a scavare.

Ha bisogno di me.

Del mio corpo.

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Vomito sangue e sembra che le viscere vogliano uscire con tutto il resto.

Vomitando grido e brucia questa roba che entra nel naso e m’incendia testa e stomaco.

Il getto sul muro è un fiore rovesciato, i petali sono grumi che

brulicano

colano.

Tossendo, lacrime scarlatte riempiono il micron di spazio fra cornea e palpebra. Inspiro, espiro. Ascolto il diaframma pulsare di dolore profondo, i palmi premuti sulla parete per rigettarmi meglio.

Quando alzo lo sguardo dal mio angolo di mondo, circoscritto ad un cantone putrido, rimango interdetta nel rilevare la presenza di un uomo.

Striscio via bava dal mento, ancora scossa dai conati.

- Che hai da guardare?

D’istinto porto la mano alla pistola a carica di particelle, ottenuta e pagata non-so-come/non-so-quando, ma le dita non stringono che aria.

- Te l’hanno fregata quando sei svenuta, cercando di tamponare il sangue della ballerina.

Per un attimo ho la sensazione che abbia detto “bambina”.

- Chi sei..?

Lo metto gradualmente a fuoco.

- Non ci pensare.

È pallido, ma robusto. I capelli corti sono sfumati sulle tempie, con taglio militare, i suoi occhi fondenti mi guardano con un misto di urgenza e tristezza. Sulla trentina, ha la barba di qualche giorno e, forse per via delle mie condizioni allucinate post-vomito, il suo sguardo addosso mi fa sentire strana. Attraversata.

- Non ricordo di averti visto, prima.

- Non c’ero.

Dalla manica del giubbotto faccio scivolare nel palmo della mano il coltello a serramanico, premo il bottone e la lama sibila fuori. Evidentemente, ho saputo come sopperire all’improvvisa/inopportuna atrofia dello scyther.

- Sei in viaggio da troppo tempo» mormora lui come se invece di un coltello stringessi il gambo di una rosa.

Ho la bocca arida e amara.