- Spogliati, cazzo!Mi preme il fucile in fronte, spingendo ferro contro pelle.

Striscio all’indietro, verso un materasso lercio, in una voragine fra i sedili.

Alzo gli occhi nei suoi.

Anestetizzata nella mente.

Sorrido.

- Attraversa la notte.

Si blocca a fissarmi.

Stendo appena il braccio destro, come un’ala dischiusa lo scyther inizia a scaldarsi.

- C-cosa hai detto..?

Si protendono i rasoi liquidi fra le dita, in gola il sapore del sangue.

- Ho detto. Attraversa la notte.

Sangue lungo il collo.

Fra le clavicole.

Ubriaca in bilico su derive psicotrope, le mie percezioni s’imbevono di dettagli mentre inspiro/espiro molecole di rabbia dagli occhi.

Lui arretra.

La sua meraviglia diventa orrore.

Perché comprende.

Lascia cadere il fucile che serico tocca il terreno, coperto da cumuli di carapaci vuoti. Immagino questo stronzo arrostire esseri umani e, raffinato, suggere scarafaggi di contorno.

Sono in piedi in un battito e un respiro, lo afferro alla gola con la sinistra mentre l’altra mano si spalanca in una stella di lame.

Poi.

L’uomo esplode in grida di bestia perché, quando mi avvicino quanto basta a baciarlo in bocca, i suoi intestini sono già rovesciati sul pavimento.

L’ho trovato in un taglio del materasso, spinto a fondo nell'imbottitura.

L’ho sentito appena entrata in questo treno del cazzo.

Ho sentito che c’era.

Che mi chiamava.

Me lo rigiro tra le dita appiccicose del suo sangue ancora fresco.

Odio questa amnesia fottuta che mi sta bruciando piano, il gelo progressivo che si porta via zone sempre più vaste della mia mente.

Del mio passato, del mio futuro.

Sul palmo è leggero il cerchietto d’argento in cui specchio i miei occhi carminio, il mio viso deformato dalla superficie graffiata.

All’interno, una scritta sbiadita, illeggibile.

Vorrei piangere e non so perché.

Non lo so più.

I crepuscoli sono lunghi, come le ombre che trascinano con sé.

Ho cercato di lavare via il sangue dell’uomo con acqua di mare, ho aspettato che il sale diventasse polvere sulla pelle, godendomi in silenzio il bruciore sulle ferite.

Scivolando nel sonno.

C’è uno specchio.

Dentro, ci sono io. Guardo un punto all’altezza dei miei occhi, un luogo così lontano da filtrare attraverso la materia solo emanandosi in sogno. Ma lo vedo perfettamente, come vedo i miei capelli rosso/acido, la placca di metallo sulla tempia e le mie iridi rosso/caustico.

La mia ombra sbagliata.

Intorno a me, la città è sbiadita su tracce di megatoni. Rovine cave, strette le une alle altre, si tendono al rosso cielo dai mille soli che sbocciano senza rumore, spazzando via macerie e terra e nubi.