Fiore disteso aperto viscido rugiada gocce grosse riflesso scende cola pantano fango disteso preme affonda caviglie tibie ginocchia anche fianchi gomiti scivola annaspa ansito rumore respiro ignoto fronde raggi scendono luce apertura chiusura innesto e poi chiusura e Keira scuote la testa più volte per superare la barriera del rumore statico, che da quando uno scoppio ha fatto volare il portello della capsula le tormenta gli auricolari saturando la banda con ogni possibile codifica casuale. Conta mentalmente, riavvia tutte le procedure di sistema, regola la visiera su un fattore di assorbimento dinamico, scaccia con un moto di fastidio le routine superflue e si concentra sull'essenzialità delle scansioni a corto raggio. Osserva i guanti ricoperti da quella curiosa brina, rivoli di una sostanza appena più densa dell’acqua che si attorcigliano sulle palme e sulle falangi come serpentelli viscidi privi di capo e coda, sovreccitando i mobot sensoriali della tuta.

Adesso i sistemi hanno ripreso a girare. Si volta lentamente facendo perno sui talloni semisprofondati nel terreno molle. La camera a multifrequenza le restituisce sulla parte sinistra della visiera la lettura a strati, man mano che inquadra porzioni più ampie del tutto in cui si è schiantata. Da sinistra a destra: uno spiazzo piatto ricoperto da uno strano miscuglio di erba giallastra e terriccio morbido, ancora vagamente fumante per il calore dell’impatto; un disordine organizzato di vegetazione, descrizioni sintetiche in didascalia, molte delle quali scarne in modo imbarazzante; rocce vetrificate in varie gradazioni di grigio, dalla cenere all'antracite, con vistose venature azzurrine e rosse, tracce di leghe metalliche dalle proprietà non classificate; il muso della capsula conficcato in un rigonfiamento del terreno, gli alettoni contorti e anneriti, parte della superficie esterna vetrificata, le scritte tridimensionali leggermente tremolanti ma ancora discretamente proiettate su una buona parte dello spettro, B-6412 - QUESTO È UN MODULO DI CLASSE TIGER99 ADIBITO A BREVI TRAGITTI NEI CUNICOLI GRAVITAZIONALI AD ALTA INTENSITÀ – PROPRIETÀ HO-TAI-PHEN INC. IN CONCESSIONE AL GOVERNO FEDERALE – ANNO DEL VARO 2144 – CHIUNQUE MODIFICHI O DISATTIVI UNO QUALUNQUE DEGLI APPARATI E DEI MICROSENSORI MOBILI CHE GOVERNANO IL MODULO SARÀ SOGGETTO ALL'APPLICAZIONE DELLE CLAUSOLE CONTRATTUALI… Le clausole sfumano in sottili strisce verdastre e spariscono sotto il bordo della visiera. Più dietro altro disordine organico non animale, con evidenti bruciature sulle estremità superiori delle piante che disegnano con precisione la traiettoria di ingresso della capsula; il bordo del terreno frastagliato e pieno di piccole rocce marroni, nettamente più alto rispetto al bordo dell’altro lato; la vegetazione che sfuma in una configurazione meno deterministica composta da strati strettamente affiancati e sovrapposti di quello che i software della visiera individuano come un’imitazione approssimativa di una variazione genomica della canna da zucchero.

E ancora più indietro, sullo sfondo, con una regolazione istantanea della messa a fuoco, un massiccio montuoso esteso per due terzi della visuale, vagamente ricoperto da assurde formazioni frastagliate e irregolari come l’opera di uno scultore nevrotico, costoni e massi che vibrano leggermente in seguito a ipotizzabili movimenti caotici appena sotto la superficie. Il tutto sovrastato da uno spesso magma atmosferico giallo e rosa, con densi accumuli spiraliformi che si gonfiano e spariscono seguendo complicate geometrie abbozzate dalle correnti d’aria.

Keira lascia ancora qualche istante ai mobot perché finiscano di riconfigurarsi, finché la visione estesa si stabilizza in una traduzione simultanea che le mostra l’equivalente semantico di una fitta foresta di tipo semitropicale, con curiose deviazioni pseudodesertiche e tracce spurie seminate a casaccio di macchie vegetali montane e lagunari. Il tutto a crogiolarsi in una gravità quasi standard, una temperatura più che accettabile per un essere umano e un’atmosfera dalle caratteristiche tali da far impazzire una trincea di analisti in scienze esonaturali.

Si gira a guardare ancora la capsula, bruciacchiata e inerte. Con i sensori dei polpastrelli intravede le colonie di mobot che sono già uscite dagli alloggiamenti sulle fiancate e si adoperano per provare a riparare i danni, ma intuisce che sarà tutto lavoro sprecato. Ridireziona parte dell’energia per captare le emissioni delle altre capsule, nella speranza che almeno una di esse sia atterrata regolarmente e a una distanza non eccessiva. Per alcuni secondi Keira resta immobile, piantata nella terra come un albero tecnologico privo di radici, lasciando che la tuta interpreti fino in fondo il suo ruolo di stazione ricevente e trasmittente in collegamento triangolare con la miriade di microsatelliti a forma di barattolo di alluminio sganciati nell’alta atmosfera. Dopo un po’ la triangolazione le restituisce il risultato: un punto scintillante a circa quarantuno chilometri lineari in direzione del polo convenzionalmente definito come nord. La capsula base di Bogosia, costruita per fare da punto di riferimento per gli scout in casi di emergenza.