Mettersi i vestiti

L’aspettava con ansia da un sacco di tempo, e la notte prima non dormì per niente, restando sempre sveglia. Ma all’improvviso ci fu papà, fermo, con indosso i vestiti belli, lunghi pantaloni neri e kurta di seta bianca. – Sveglia, dormigliona, vuoi restartene a dormire durante la Cerimonia? – Terrorizzata, gli credette e saltò giù dal letto, così lui disse subito, serio: – No, no, stavo solo scherzando. Hai tutto il tempo. Non devi ancora vestirti! – Lei capì lo scherzo, ma era troppo sbalordita ed eccitata per ridere. – Aiutami a pettinarmi i capelli! – si lamentò lei, infilando il pettine in un nodo del denso intrico nero. Lui si inginocchiò ad aiutarla.

Quando arrivarono al Temenos l’eccitazione rendeva tutto più chiaro del solito, luminoso, distinto. Anche l’enorme sala sembrava più grande del solito. C’era la musica, allegra e danzereccia. Stava arrivando tanta, tanta gente, bambini nudi, ciascuno con un genitore coi vestiti belli, alcuni con due genitori, molti con i nonni, qualcuno con un fratellino o una sorellina nuda o con un fratello o una sorella grande con i vestiti belli. C’era il padre di Luis, ma aveva indosso soltanto gli short da lavoro e una vecchia canottiera, e lei provò dispiacere per Luis. Dalla grande folla di persone arrivò sua madre Jael. Il figlio di Jael, Joel, venne con lei dal Quadrante Quattro, ed entrambi avevano indosso vestiti belli, belli davvero. Su quello di Jael erano dipinti zigzag e lustrini rossi, e la camicia di Joel era viola con la cerniera dorata. Si abbracciarono e si baciarono, Jael diede a papà un pacchetto e disse: – Per dopo. – Hsing sapeva cosa c’era dentro, ma non disse niente. Papà nascondeva il pacchetto dietro la schiena, e anche lei sapeva cosa c’era dentro.

La musica stava sfumando nella canzone che tutti avevano imparato, tutti i bambini di sette anni in tutte e quattro le scuole di tutto il mondo: – Sto crescendo! Sto crescendo! – I genitori spingevano avanti i bambini, o conducevano per mano quelli timidi, sussurrando: – Canta! Canta! – E tutti i piccoli bambini nudi, cantando, si radunarono al centro della sala alta e rotonda. – Sto crescendo! Che felice, felice giorno! – cantavano, e i grandi cominciarono a cantare con loro, e così la canzone diventò enorme, forte e profonda, facendole venire le lacrime agli occhi. – Che felice, felice giorno!

Un insegnante vecchio parlò per un po’, e poi un’insegnante giovane con una bella voce, alta e chiara, disse: – Adesso sedetevi tutti – e tutti si sedettero sul pavimento. – Leggerò il nome di ciascun bambino. Quando leggerò il vostro nome, alzatevi. Anche il genitore e i parenti si alzeranno, e allora potrete andare da loro a guardare i vostri vestiti. Ma non ve li mettete finché tutti, in tutto il mondo, non avranno i vestiti nuovi! Dirò io quando. Allora! Siete pronti? Dunque! 5-Adano Sita! Alzati e vèstiti!

Nel cerchio di bambini seduti, una piccola ragazzina balzò in piedi. Era rossa in viso e si guardò intorno, terrorizzata, in cerca di sua madre, che si alzò ridendo e sventolando una bella camicia rossa. La ;piccola Sita corse a capofitto verso di lei, e tutti risero e applaudirono. – 5-Alzs-Matteu Frans! Alzati e vèstiti! – E la cosa proseguì finché la voce chiara disse: – 5-Liu Hsing! Alzati e vèstiti! – e lei si alzò, gli occhi fissi su Papà, che era facile da vedere grazie a Jael e Joel luccicanti accanto a lui. Corse da lui e prese fra le braccia qualcosa come seta, qualcosa di meraviglioso, e gli applausi delle persone del Complesso Peonia e del Complesso Loto furono particolarmente forti. Lei si voltò e si premette contro le gambe di papà, osservando.

– 5-Nova Luis! Alzati e vèstiti, – ma lui si era alzato ed era arrivato insieme al padre quasi prima che finisse di pronunciare quelle parole, così le persone risero ancora, ed ebbero appena il tempo di applaudire. Hsing cercò di incrociare lo sguardo di Luis ma lui non stava guardando. Lui osservò il resto della Cerimonia con aria seria, così lei lo imitò.

– Questi sono i cinquantaquattro bambini di sette anni della Quinta Generazione – disse l’insegnante, quando non rimase più nessun bambino al centro del cerchio. – Accogliamoli nelle gioie e nelle responsabilità del crescere – e tutti esultarono e applaudirono mentre i bambini nudi, frettolosi e impacciati, in lotta con fori sconosciuti, mettendo le cose al contrario, armeggiando coi bottoni, indossavano i vestiti nuovi, i loro primi vestiti, e si rialzavano, splendenti.

Allora tutti gli insegnanti e i grandi cantarono ancora – Che felice, felice giorno – e ci furono tanti altri baci e abbracci. Presto Hsing ne ebbe abbastanza, ma notò che a Luis piaceva davvero, e ricambiava forte l’abbraccio anche con grandi che conosceva appena.

Ed aveva dato a Luis short neri e una camicia azzurra di seta, con cui sembrava assolutamente diverso, assolutamente se stesso. Rosa aveva vestiti tutti bianchi perché sua madre era un angelo. Papà aveva dato a Hsing short blu scuro e una camicia bianca, e il pacchetto di Jael erano pantaloni blu chiaro e una camicia azzurra con stelle bianche sopra, da mettere domani. La stoffa degli short le strofinava le cosce quando lei si muoveva, e la camicia era un tocco soffice, morbido sulle spalle e sulla pancia. Lei danzò con gioia, e papà le prese le mani e danzò insieme a lei, con aria grave. – Così, figlia mia, sei cresciuta! – disse lui, e il suo sorriso fu il tocco finale della giornata.

Luis è diverso

La differenza pene-vagina era superficiale. Aveva imparato la parola da papà, di recente, e la trovava utile. Luis non era diverso soltanto da lei, o soltanto a causa di quella differenza superficiale. Era diverso da tutti. Nessuno diceva “dovrebbe” come faceva Luis. Lui voleva la verità. Mai mentire. Lui voleva l’onore. Era quella la parola. Era quella la differenza. Lui aveva più onore degli altri. L’onore era duro e chiaro, e anche Luis era duro e chiaro. E allo stesso tempo, ed esattamente allo stesso modo, era tenero, era morbido. Gli veniva l’asma e non riusciva a respirare, gli venivano grossi mal di testa che lo stendevano per giorni, era malato prima degli esami, delle performance e delle cerimonie. Era come il coltello che ferisce, e come la ferita. Tutti trattavano Luis in modo diverso, con rispetto, apprezzandolo ma cercando di non avvicinarsi a lui. Solo lei sapeva che è anche il tocco che guarisce la ferita.

V

Quando, a dieci anni, fu finalmente permesso loro di entrare in ciò che gli insegnanti chiamavano Terra Virtuale e i Cino chiamavano V-Dichew, Hsing fu impressionata e delusa. Il V-Dichew era eccitante e tremendamente complicato, ma era esile. Era superficiale. Erano programmi.

C’erano infinite cose lì dentro; ma dentro una sola stupida cosa reale, come il suo vecchio spazzolino, c’era più essere che in tutto il ribollente fiume di oggetti e sensazioni di Città, Giungla o Campagna. In Campagna, lei era sempre consapevole che anche in alto non c’era niente tranne l’aria azzurra, e lei camminava sulla cosa d’erba che ricopriva il terreno irregolare per distanze impossibili, alzandosi in forme impossibili (colline), e che i rumori nelle sue orecchie erano l’aria che si muoveva veloce (vento) e a volte c’era una specie di alto suono yit-yit (uccelli), e che tutte quelle cose a quattro zampe, lontano nei venti, no, nelle colline, erano animali (bestiame), allo stesso tempo, per tutto il tempo, lei sapeva di stare seduta in una sedia nel V-Lab Due della Scuola, con della roba attaccata al corpo, e il suo corpo si rifiutava di farsi ingannare, insistendo che per quanto la V-Dichew fosse strana, stupefacente, educativa, importante e storica, era un falso. Anche i sogni potevano essere convincenti, belli, paurosi, importanti. Ma lei non voleva vivere nei sogni. Voleva essere sveglia nel suo corpo, toccando stoffa vera, metallo vero, pelle vera.