La rete è una gran cosa per chi traduce. Per le risorse e le informazioni reperibili online, e perché rende possibile il contatto con autori e autrici. Sono contatti che questo traduttore ha avuto il piacere di stringere diverse volte, e comunicare con Ursula K. Le Guin è stato un piacere particolare. Perché, tanti anni fa, I reietti dell’altro pianeta e La mano sinistra delle tenebre sono stati fra i libri che mi hanno fatto innamorare della science fiction, e perché quell’amore si è rinnovato nella dedica ad Anarres di una rivista critica su fantascienza e fantastico, di cui fra pochi mesi si spera di far uscire il secondo numero. E soprattutto per le informazioni, i chiarimenti, le risposte, le discussioni, tutte preziose, che ho cercato di ricambiare almeno con l’entusiasmo. Dunque cominciamo questa postfazione dicendo semplicemente: grazie, Ursula.

Uscito su un’antologia intitolata The Birthday of the World, del 2002, Paradises Lost è un’utopia, e una storia per chi sa che “eva” significa extra-vehicular activity, il termine usato sin dagli anni 60 delle missioni Apollo per indicare le uscite dell’astronauta fuori dal veicolo spaziale. È un’utopia come da sempre sono le utopie di Ursula Le Guin: ambigue, imperfette, fallibili, ma sempre aperte al miglioramento, alla speranza in ulteriori perfezionamenti, in mondi migliori. È un mondo i cui abitanti credono nel valore intrinseco della conoscenza, umanistica e scientifica: è proprio questa insopprimibile fede laica a renderli portatori di utopia. 

Desiderio di altri mondi, si intitola un recentissimo libro di Alessandro Portelli, autore del primo saggio accademico sulla fantascienza mai letto (era su Asimov, e a sua volta aprì un mondo a quello studente delle superiori), che raccoglie articoli di giornale: fra letteratura, musica popolare e politica, c’è spazio anche per la fantascienza. “La parola che vuol dire mondo è foresta”, è la traduzione letterale del titolo del romanzo di Le Guin uscito da noi come Il mondo della foresta. Dei legami e intrecci fra parola (word), mondo (world) e desiderio si occupa tutta la sua produzione. 

Parole, altre parole, non sempre spiegate, sono ovunque in Ursula Le Guin: nella SF, ansible, churten, kemmer… e nella fantasy dove, come nel caso dei Draghi, talvolta devono restare segrete. E sono quelle parole a darci accesso agli altri mondi, a renderceli desiderabili.

Con le parole, le voci. La voce di Hsing, che cresce con lei, dalla bambina che inizia a presentarci, da lontano, il suo “mondo” con un linguaggio infantile in cui – in modo straniante – “eva” è una delle parole che per lei sono familiari, domestiche: il mondo. La voce dell’adolescente che cerca una sua strada, dalle amicizie agli amori, dalla scoperta della poesia a quella della scienza. La voce dell’adulta alla ricerca della verità, quella dell’anziana che, alla fine,trova qualcosa di importante. Non abbiamo paura di identificare, in questo straordinario personaggio come in quelli che la circondano (anche maschili), le tracce di classici della scrittura femminile come quelli di Virginia Woolf. 

Per chi ha voglia di coglierli, i giochi letterari non si limitano alla fantascienza, dall’epigrafe di Roethke (una poesia per molti sulla morte, ma la citazione ha decisamente a che fare con la speranza, l’apertura all’ignoto) alle citazioni e riscritture di altre poesie sparse nel testo (Wordworth, ancora Roethke, Yeats). Fra le parole, tante provengono da altre lingue, e le lingue si mescolano: così la Terra (Ti Chiu, o dixiu nella translitterazione ufficiale) diventa Dichew, e il luogo di destinazione (xin = nuovo) diventa Shindychew. Ed è sincretico l’ideale che vuole sorreggere la comunità dell’astronave Discovery, un crogiolo in cui si spera che nazionalità, religioni, culture comunichino e giungano a una fusione. Inevitabilmente, non sempre è così, ma è quell’ideale originario che la rende potenzialmente utopica. 

A proposito di parole, il traduttore non può evitare di cogliere gli echi, che hanno richiesto un poco di creatività. La parola chiave, su tutte, è dirt che in italiano non si può che differenziare: terreno, sporco, e ovviamente la dirtball che è la Terra non può che diventare “palla di fango”; ma altri echi sono concessi dall’italiano come quello fra terra e Terra. Molto virtuosismo c’è anche nella frequente strategia di rimandare o tacere nell’irrilevanza il sesso di qualche personaggio: almeno alcune volte, ci si è riusciti anche in italiano. Anche di queste raffinatezze è fatta la lingua della SF, e Ursula Le Guin ne è fra le voci più alte.