Che dire di John Varley? Che, pur non essendo molto prolifico, è considerato uno degli autori più interessanti comparsi negli ultimi decenni? Che da molti viene accostato a Robert A. Heinlein, magari esagerando un po'? In realtà Varley, texano di Austin, classe 1947, è uno scrittore che ha attraversato mode e tendenze restando coerente con il proprio modo di concepire e scrivere fantascienza. Esordì nel 1977 con Linea Calda Ophicus, imponendosi subito all'attenzione del pubblico e della critica con la nomination ai Locus Award, e proseguì durante tutti gli anni Ottanta e Novanta, attraversando il cyberpunk e le nuove tendenze, vincendo premi (Hugo, Nebula, Locus, Prometheus e Endeavour) e continuando a scrivere fantascienza alla propria maniera.

In questi giorni Subterranean Press ha annunciato l'uscita della sua nuovissima antologia, disponibile dal prossimo aprile, Good-Bye Robinson Crusoe e Other Stories, a nove anni di distanza dall'ultima raccolta di storie brevi da lui pubblicata e a trentadue da The Persistence of Vision, antologia del 1978 entrata in qualche modo nella storia recente della fantascienza. L'antologia mette insieme racconti inediti e altri già apparsi in questi anni in altre antologie o su riviste, ma che hanno in comune l'ambientazione tra i pianeti in orbita al nostro sole, costruendo un mix  variegato di concetti e storie, in quello che lo stesso Varley definisce "Grand Tour del Sistema Solare".

Si va da The Funhouse Effect, centrato su una cometa meccanica diretta verso la corona solare, a Retrograde Summer, in cui viene raccontata una saga familiare sullo sfondo di un Mercurio instabile. Bagatelle è ambientato sulla città lunare Luna Dresden City, minacciata di devastazione da una bomba vivente, mentre In the Bowl fa precipitare lo spettatore su Venere e Good-Bye, Robinson Crusoe, il racconto che da il titolo alla raccolta, è ambientato sulla metropolitana di Plutone descritta con uno stile disneyano. The Black Hole Passes è l'unica storia ambientata nello spazio profondo; non mancano le riflessioni, in un certo senso vintage, sulla proliferazione nucleare, in The Manhattan Phone Book (Abridged), mentre The Unprocessed Word è addirittura una riflessione sul rapporto tra uno scrittore e l'evoluzione tecnologica.

Come si vede, una raccolta di dodici storie diverse tra loro e difficilmente collegabili a un filone particolare, e che, quando arriveranno tra le mani del pubblico, potrebbero confermare che a quasi trentasei anni di distanza, la verve narrativa di Varley è ancora molto lontana dall'esaurirsi, così come la fantascienza può ancora dire molto anche a ventunesimo secolo ormai inoltrato.