Salvatore Proietti, critico e docente universitario

Salvatore Proietti
Salvatore Proietti

Una celebrazione: questa non può essere altro, e unirmi è un piacere.Faccio parte di una generazione che, negli anni Settanta, si avvicinava alla fantascienza, confusamente, alla ricerca di presenti e futuri diversi, migliori o semplicemente più colorati. Non c’entrava troppo l’ideologia, ma il piacere di scoprire altri mondi aveva in sé qualcosa di liberatorio, di entusiasmante. In quegli anni, in edicola e in libreria, si cominciava a capire anche “ufficialmente” che la SF aveva qualcosa che il resto della letteratura non poteva dare. Anche questo alimentava l’entusiasmo.

Di questo sono ancora convinto. La mia celebrazione della fantascienza può finire qui, e continuare nel lavoro che cerco di fare, come traduttore, critico, divulgatore e (quando capita) editor, quotidianamente. La SF sta dando ancora molto, e ha ancora molto da dare. Nei limiti delle mie forze, mi impegno a continuare. L’entusiasmo c’è ancora.

Che sessant’anni fa, con Scienza fantastica e poi con Urania, la SF sia nata in Italia (come negli Usa) nel segno della letteratura popolare mi sembra uno dei suoi punti di forza. Giorgio Monicelli le diede un nome che la rese un po’ più italiana. Da sempre, la fantascienza parla anche a persone diverse dal tradizionale pubblico letterario. E allora credo che la mia esperienza sia simile a quella della generazione che la scoprì negli anni Cinquanta, o di quella dei miei genitori, a cui Verne e Salgari avevano detto qualcosa di importante.

Per me il principio fu un pacco di Urania passatomi da mia madre, a undici anni. Ricordo le prime due letture: Il disco di fiamma di Dick e La città degli aztechi di Harrison. In quel pacco c’erano libri di Asimov, Ballard, Brown, Brunner, Heinlein, Sheckley, Spitz… e naturalmente cose più dimenticabili. Quel ragazzino cominciò a incuriosirsi, e a capire che certe cose erano meglio di altre. E le bancarelle cominciarono a fornire un alimento a basso costo per quella curiosità. A distinguere Urania, sempre, erano le copertine di Thole. E poi riscoprii copertine e illustrazioni di Caesar e Jacono. E poi, mentre Urania cresceva insieme a me, quelle di altri, fra cui ero lieto di trovare italiani: Giuseppe Festino, Maurizio Manzieri e via dicendo, fino a Franco Brambilla. I colori non sono mai venuti meno.

Ritrovarmi a collaborare come traduttore (è successo con un libro di Ian Watson uscito quest’anno, “difficile” e molto bello) mi ha reso orgoglioso, e ringrazio Giuseppe Lippi. In tempi grami per l’editoria, il paperback “popolare” da edicola di Urania resta un punto distintivo. Che continui a essere un punto di partenza, anche per nuove generazioni. 

Sessant’anni e l’eternità: con le tenebre che premono intorno, so di essere uno dei figli di Giorgio Monicelli.

Sì, anch’io.

Giovanni De Matteo, scrittore

Diversamente da molti miei colleghi appassionati, ammetto di non aver scoperto il genere sulle

De Matteo alla NextCon 2007. Foto ed elaborazione di Giorgio Raffaelli.
De Matteo alla NextCon 2007. Foto ed elaborazione di Giorgio Raffaelli.
 pagine di Urania. Avevo già letto romanzi di fantascienza in altre edizioni, volumi acquistati in libreria o per corrispondenza. Ma ricordo chiaramente il primo Urania acquistato: era Il mondo che Jones creò di Philip K. Dick, in ristampa nei Classici. Era il 1996, il libro mi occhieggiava da un’edicola calabrese. Non so se fosse lì dal 1987 – probabilmente era stato ripescato dalle scorte che l’edicolante teneva da parte per la stagione turistica – ma fu come riconoscersi a prima vista, per me che non avevo mai avuto un Urania per le mani: un colpo di fulmine! È stato solo il primo di centinaia di volumi, acquistati all’uscita o recuperati nel mercato dell’usato. Centinaia di Urania campeggiano oggi nelle mie librerie (parlo al plurale, calandomi nella condizione di sdoppiamento bipolare dell’emigrante). Guardarli mi trasmette ogni volta un senso di felicità. Perché tra gli alti e i bassi della sua storia – in particolare durante le gestioni F&L – e fino all’ultima ventennale gestione Lippi, passando per la cura di Montanari, non sono state rare le perle dispensate ai lettori. Dalla space opera all'hard sci-fi, dall'ucronia al cyberpunk, dagli slittamenti nel fantastico e nell'horror alle commistioni con il poliziesco e il noir, quante storie memorabili ci ha regalato la corazzata della fantascienza italiana? Mi sfugge il conto. E mi allieta l’idea che molti di quei volumi esposti sui miei scaffali siano ancora da leggere e da gustare. Con l’augurio che Urania molti altri ce ne sappia offrire in futuro, rinnovando il piacere della scoperta anche grazie all’adattamento del formato, che promette un allineamento con le edizioni da libreria, mettendo da parte ogni possibile soggezione legata al tascabile, a cui pure resto affezionato.

Lunga vita a Urania, quindi, e buon lavoro a chi continua a fare in modo che non manchi mai sulla scrivania dell’appassionato! Rendiamo grazie per la nostra dose mensile di fantascienza.