Anche questo era un rapporto simbiotico, anche se impostato su dei fondamenti alquanto diversi da quelli che mi spingevano a frequentare il Nu-Wok. Voglio dire, lo sapevamo chi erano i nostri capi e loro di certo ci conoscevano, però quando lavoravamo, noi del marketing virale, lo facevamo sotto la copertura degli avatar.  Erano loro i cattivi che disseminavano in giro per la Rete trappole commerciali e offerte civetta, saldi a tempo determinato e buoni progressivi; noi co-workers, invece, eravamo i buoni.  Anche se la gente si impegnava stoicamente a filtrare i messaggi, a evitare lo spamming, lo sniffing, il phishing e i trojan, le email che ricevevano erano così fitte e numerose che si trovava sempre una crepa per accedere indisturbati ai loro client indifesi. 

Chiamatela promo-guerra, se vi pare. Per noi è solo credi-paga. 

Ok, formalmente non si poteva utilizzare l’iper-banda per le chiacchiere, i gossip e i flirt personali, ma non ci importava niente… Del resto, Yumiko non era una di quelle ragazzotte fotti-e-fuggi. Non era un buco-con-la-carne-intorno che desideri bannare dopo averci trasognato insieme. Lei non si lamentava mai di niente, né mi assillava con alcunché. 

Facevamo lunghe conversazioni pacate. Ogni tanto, ci scambiavamo qualche velata fantasia erotica che non scadeva nel volgare. 

Mentre pedalavo, mi chiesi come sarebbe stato valicare le nuvole di server e librarsi insieme a lei dopo tanto blablare… 

A metà del Damraak, invece, tirai la leva del freno, grattai con il copertone sull’asfalto rosato e accostai la ciclo all’angolo dello spaccio di Albert Heijn. Mi frugai con ansia dentro la borsa.  

Il chip oniromante, dove s’era cacciato?  

Non avrei voluto dimenticarlo sul bancone del Nu-wok dato che quel gingillo, subito dopo la ciclo, era il pezzo di chipperia più rubato in città. 

All’idea di tornare indietro mi prese male. Entro sei minuti, sarei dovuto essere in tana. Allora rimestai e per fortuna lo scovai nel taschino interno della tracolla. Lo installai al volo nello slot delle V-lenti per non perdere altro tempo. 

In un clic, ebbi accesso alle meraviglie del dataverso. Niente leggerezze o brutti scherzi con i trasogni. Non avevo intenzione di rischiare un buco nero di byte o peggio ancora un’emorragia di vita vera mentre mi giravo un’avventura mozzafiato insieme a lei.  

Altrimenti che gusto c’era a trasognare? 

Intanto mi iniettavo l’effetto vorticante della realtà aumentata dentro le V-lenti. Quando il chip ebbe finito l’upload, gli occhi mi palpitavano. La mia visuale era nitida e perforante. I bulbi rigonfi di dati. 

Strato su strato, qualsiasi cosa nel raggio di cento metri cubi, si animò e fece il suo striptease al contrario. Si mise le informazioni addosso e me le servì direttamente sul nervo ottico e di lì al cervello.