Arkad mollò la presa all’improvviso e il suo corpo si irrigidì, il volto bloccato in una smorfia inespressiva, gli occhi socchiusi come in procinto di perder coscienza, le braccia paralizzate in una posa innaturale che lo fece somigliare all’albero spoglio al quale Ardelan era ancora appoggiato, mentre si portava le mani al collo come a sincerarsi che fosse ancora integro. Mentre mi riprendevo a mia volta dal colpo ricevuto, osservai gli altri: Mikka, che non aveva mai preso una chiara posizione, si muoveva per sincerarsi delle condizioni tanto dell’aggressore quanto della vittima, la piccola Dhara esibiva un’espressione sdegnata e la misteriosa ragazza minuta, dietro a tutti, teneva gli occhi chiusi e sembrava rapita da uno stato che mi ricordò quanto avevo studiato delle tecniche di concentrazione dei nemici storici del sistema di Harris, i vicini Hassadiani. Osservandola più attentamente mi accorsi che in realtà le sue palpebre vibravano come se gli occhi le vorticassero senza sosta. Fu esattamente a quel punto che la graziosa Dhara gridò al suo indirizzo:- Smettila, Mitsuo!

Non avrei mai dimenticato quel nome.

Dhara mosse un paio di passi verso Mitsuo, che restò impassibile. Qualsiasi cosa stesse facendo ad Arkad, iniziò a farla anche a sua sorella: il cammino di questa verso la rivale parve infatti rallentare fino a che si paralizzò in uno stato di completa impotenza, come se in lei vi fossero due volontà, l’una opposta all’altra, a darsi battaglia.

Mikka si guardava intorno sempre più disorientato, io probabilmente feci altrettanto, e nel frattempo Ardelan prese la saggia decisione di darsela a gambe.

Solo allora Mitsuo aprì gli occhi e i fratelli Iskenderian caddero in terra a peso morto, come se fino a quel momento la loro volontà fosse stata azzerata al punto tale da impedire loro anche solo di mantenere il tono muscolare.

Mikka e io guardammo l’artefice di quell’impresa. Il suo volto appariva privo di emozione. Non disse nulla, non giudicò niente e nessuno, non diede spiegazioni. Non motivò la sua tardiva scelta di campo.

I suoi occhi neri e sottili mi fissavano immobili, e per un istante li temetti, perché sentivo che sarebbero stati in grado di privare di vita qualsiasi cosa osservassero, risucchiandone lo spirito, l’energia o comunque l’essenza più profonda.

- Chi sei? -  le domandai.