Nel segno dell’ironia si muove The Singular Habits of Wasps (Analog, 1994), irresistibile pastiche sherlockiano che porta Holmes e Watson ad affrontare la minacciosa presenza degli alieni in un’indagine su misteriosi omicidi nell’East End londinese di Whitechapel. Un gioco un poco wellsiano è, nel 1995, una short-short story uscita su Asimov’s con il lunghissimo titolo Long Term Project: Report to the Great Council of Cockroaches (Or, What Really Happened to the Dinosaurs), che rilegge la storia umana dal punto di vista dei veri dominatori della Terra, gli scarafaggi: una lezione di umiltà che la SF migliore ha sempre tenuto ben presente, anche grazie alla scienza. Fra le storie tradotte in italiano, la più recente è At Dorado (Asimov’s, 2002), nello scenario di una stazione spaziale nelle vicinanze di un wormhole: un breve melodramma corale che non ha niente da invidiare alla migliore SF televisiva. In inglese, è anche comparso in Italia il recente The Resonance of Light (2004), una alternate history il cui protagonista, lo scienziato-visionario Nikola Tesla (già utilizzato da Landis nel 2003 in The Eyes of America, racconto che giunse in finale al Sidewise Award), si ritrova a inventare il laser anche allo scopo di evitare la Prima Guerra Mondiale. La raccolta Impact Parameter and Other Quantum Realities (Golden Gryphon 2001) riunisce solo una parte della sua produzione; ma altri volumi di alto livello sarebbero già possibili.

Il suo unico romanzo è Mars Crossing (2000), la descrizione delle traversie di una spedizione privata su Marte in un futuro prossimo in cui i programmi spaziali sono pressochè interrotti per motivi finanziari. Se vuole avere una possibilità di ritorno, l’equipaggio si ritrova costretto alla “traversata di Marte” di cui parla il titolo. Fra i diversi romanzi che nell’ultimo ventennio hanno riportato Marte al centro dell’attenzione della SF anglofona, Mars Crossing è fra i pochissimi in grado di competere con i capolavori della trilogia marziana di Kim Stanley Robinson. Sobrio e privo della retorica e dell’ideologia di autori come Ben Bova e altri, Landis unisce un rigore scientifico assoluto alla cura nella costruzione dei personaggi, nel nome sia dell’azione sia di lancinanti dilemmi etici. In uno scenario marziano molto intenso è ambientato anche Falling onto Mars (Analog, 2002), vincitore dello Hugo l’anno seguente, raccontato dal punto di vista di un discendente dei prigionieri che l’hanno colonizzato per primo.

E anche questo The Sultan of the Clouds, pubblicato sul numero di settembre 2010 di Asimov’s, finalista di Hugo e Nebula e vincitore dello Sturgeon Award, è innanzitutto una storia di personaggi, dal narratore in prima persona David Tinkerman alla scienziata Leah Hamakawa e al potentissimo Carlos Fernando, rampollo dei Nordwald-Gruenbaum, famiglia dominante degli habitat venusiani, adolescente dai sogni incontrollati e conoscitore di Giordano Bruno. La fonte della minaccia è proprio il carattere semiassoluto del potere nelle mani del “sultano delle nuvole” e della sua famiglia. Dagli anni 70 in poi, il mito delle stazioni orbitali è sembrato rinverdire, nella SF e non solo, quello dei padri fondatori degli Usa: l’espansione nello spazio attraverso la proliferazione di comunità totalmente autosufficienti, omogenee e prive di conflitti. Gli habitat venusiani di Landis, però, sono luoghi molto meno ideologici e più realistici delle nuove “Americhe” nello spazio immaginate dai libertarians. In effetti, il conflitto nasce esattamente dal fatto che quel sogno liberista si è trasformato in incubo monopolista: una dittatura familiare (figlia un po’ di Heinlein, un po’ delle zaibatsu di Gibson), in cui gli oppositori underground sono chiamati “pirati”. Il tecnico e la scienziata sembrano essere gli unici in grado di opporsi ai progetti minacciosi, potenzialmente genocidi, del satrapo delle nubi venusiane. 

Questo, in fondo, sembra essere il senso della parabola di Landis: la ricerca scientifica si porta dentro qualcosa di intrinsecamente liberatorio, che la rende irriducibile ai deliri del potere. Ed è questo, in fondo, a rendere affascinante la descrizione dell’ecologia di Venere e dei tentativi di creare degli insediamenti umani nella sua infernale atmosfera, il dibattito sulla possibilità del terraforming, oppure di alternative per l’utilizzo sostenibile delle risorse venusiane. Chissà se nelle folli ambizioni del giovane pseudo-aristocratico non ci sia una critica ai sogni adolescenziali di tanta SF classica. Sicuramente, sembra dire Landis, dei sogni della scienza la SF non può fare a meno. E chissà, anche i sogni del viaggio spaziale e dell’esplorazione e colonizzazione dei pianeti potranno aiutarci a sconfiggere i progetti genocidi del Potere. Cacciamo i sultani, ma teniamoci le nuvole.