Per staccare i piedi dal suolo occorre fornirsi di ali oppure di una buona dose di fantasia. Il vecchio Jules Verne ai suoi tempi lavorava solo d’immaginazione, più eclettico, non rinuncia a nessuno dei due sistemi e dai cieli occitani lancia storie e aerei che fanno il giro del mondo. Dopo un trascorso rockettaro ancora presente nei suoi romanzi (vedi gli zombi musicisti di Roll over, ;Amundsen), questo matematico ingegnere dell’Airbus di Tolosa si districa con abilità tra scienza e fantascienza, ricavando risultati cosmici come Étoiles Mortes del 1991, o fantasy, La Guerre des cercles (Fleuve Noir 1995), seguiti da collaborazioni di successo, vedi Stelle Morenti, del 2000, ;scritto insieme ad Ayerdhal (Marc Soulier).

Dato che nel 1992 la Francia abbonda in vini e formaggi, ma scarseggia di spazi per la SF, l’ingegner Dunyach fonda anche con Stephanie Nicot, Jean-Daniel Brèque e Pierre K. Reye la rivista Galaxies, un laboratorio letterario che spolvera stelle e galassie per una decina d’anni, lasciando un segno negli appassionati. Intanto, i suoi racconti apprezzati e tradotti anche all’estero, sono raccolti in nove antologie, mentre i sofisticati romanzi a oggi contano sette volumi.

Partendo da simili produzioni non potevano mancare i riconoscimenti, perciò a Dunyach occorrerà un ombrellone per pararsi dalla pioggia di trofei che lo perseguita dallo Science Fiction del 1983, ai due Rosny Ainé del 1992, al Grand Prix de l’Imaginaire del 1997 e il Prix Ozone del 2000, giusto per citarne qualcuno. Al momento l’ingegnere pianifica nuove meraviglie. Che siano antologiche o singole, di carlinga lunga o breve, poco importa, l’importante è che volino.  

Come si colloca la tua fantascienza rispetto ai temi delle generazioni che ti hanno preceduto? Trovi affinità di intenti in altri autori francesi contemporanei?

Beh, vedi, nei miei trent’anni come scrittore ho visto prodursi un’evoluzione dei temi trattati da una generazione di autori alla seguente, in media ogni dieci anni. Ho cominciato a essere pubblicato subito dopo quello che è stato chiamato il periodo della fantascienza politica (gli eroi dovevano avere la barba, vivere in campagna, in baracche ecologiche, e combattere contro l’energia atomica e gli stati totalitari), poi c’è stato il periodo “letteraturante”: era imperativo servirsi di una forma molto elaborata, fare esperimenti di stile, mentre la storia passava in secondo piano.In seguito, in reazione ai letteraturanti, sono arrivati i “narrativi” (lo stile non conta, importa solo la storia!), poi gli scrittori transgenere (che mescolavano nello stesso testo un po’ di fantascienza, un’oncia di fantastico e una goccia di letteratura mainstream, mantenendosi alla frontiera fra i vari generi).

All’epoca inoltre il Cyberpunk (lo adoro: sono informatico di formazione) cedeva il passo alla nuova Space Opera (adoro anche quella, benché ne abbia scritta raramente). Aspetto con impazienza la prossima moda.

Quanto a me, sono solo uno che racconta le storie che gli vengono in mente, niente di più. Lo faccio da trent’anni. Non ho messaggi da trasmettere o rivendicazioni da far valere, sono un semplice cantastorie. Ho però un punto in comune con gli autori della generazione anni ’80: l’Arte. Le mie storie pullulano di artisti, di opere d’arte strane, di riflessioni sulla creazione… C’è poi il lato “organico”, che si richiama un po’ al surrealismo (influenza di una certa fantascienza francese). Mi piace che le cose che mi circondano siano vive, particolarmente le città. Per il resto, sono convinto che ogni autore di fantascienza sia un continente a sé: crea il proprio territorio, senza rifarsi necessariamente a quanto lo circonda.

Hai mai trovato delle difficoltà proporre un tuo progetto a un editore? In sostanza: è più spossante far decollare un libro o un Airbus?

Far decollare un libro è molto difficile: bisogna che mi venga in mente una buona idea (o magari due o tre buone idee, almeno se voglio scrivere un libro grosso), poi devo trovare il tempo, l’energia, la voglia di lavorare, un computer che non mi lascia in asso; devo far provvista di cioccolata e di caffè (non si dimentichi che di domenica i negozi sono chiusi), devo essere affiancato da una moglie che mi rassicura quanto al mio talento e da fan che aspettano con impazienza che mi rimetta a scrivere… per un Airbus invece basta che i capi decidano di fabbricarne uno, dopo di che il meccanismo si mette in moto, e io non devo far altro che tenere il passo…