Forse, l’unico concetto comune a entrambi i film è la retorica anti-scientista. Nel 1951, questa retorica apparteneva a un collaudato filone della fantascienza fortemente pessimista sul futuro dell’umanità, e che criticava pesantemente gli “apprendisti stregoni” dell’atomo rei di aver risvegliato forze della natura capaci di distruggere il mondo. Anche se Asimov prendeva posizione contro questa “sindrome di Frankenstein” sostenendo che la scienza, nel bene o nel male, cercava solo di aumentare la conoscenza del mondo e dell’universo, la science-fiction di quel periodo era singolarmente molto critica verso il suo fondamentale prefisso science. Ricorreva, soprattutto, la figura dello scienziato pazzo: il dottor Carrington, prestigioso premio Nobel, perde la testa di fronte alla possibilità di studiare la Cosa, al fine di aumentare i confini della conoscenza anche a costo di sacrificare vite umane. Mette così a rischio la sopravvivenza dei suoi colleghi e infine tenta un disperato appello all’intelligenza della Cosa, per dimostrare la sua superiorità sugli esseri umani. Ne riceve in risposta un potente manrovescio che lo mette K.O. Molto simile alla figura del dottor Morbius del successivo Il pianeta proibito, Carrington, in un’importante battuta del film, viene liquidato dai suoi compagni della base per aver penetrato i misteri dell’atomo, un affare giudicato di non grande guadagno per il genere umano. In quegli anni di esperimenti nucleari a ripetizione, e di crescente terrore per un’imminente guerra nucleare su larga scala, la scienza non godeva certo di grandi favori. Ma anche Carpenter recupera quell’atteggiamento anti-scientista nel suo film, tant’è vero che la nave aliena della Cosa viene riportata in superficie, secondo alcune teorie, proprio dai test atomici che avrebbero scosso la crosta terrestre.Per questo, sostanzialmente “la Cosa” resta un archetipo dell’immaginario fantascientifico che va riscoperto in ogni generazione. Agli occhi smaliziati dei giovani di oggi, il film di Nyby-Hawks dice poco o nulla, quando non è accolto da rise di scherno. Quello di Carpenter è sicuramente più fresco, anche se nel tempo rischia di perdere la sua attualità. Riproporre una nuova versione della Cosa potrebbe non essere una cattiva idea, anche se tutto dipende dal metodo. La scelta di girare un prequel, se non addirittura un reboot, narrando la vicenda del ritrovamento della Cosa da parte della base norvegese, nei cui resti si imbatteva la squadra americana di Kurt Rusell nel film di Carpenter, può apparire a prima vista intelligente. I fan della pellicola s’erano sempre chiesti cosa fosse successo allo sfortunato personale della base che aveva avuto la malaugurata idea di scongelare la Cosa dalla sua millenaria ibernazione. Ma se il plot appare intrigante, resta un problema: in tutti i casi, il finale è già stato scritto, coincidendo con le prime scene del film del 1982. Viene così meno la tensione di un finale aperto com’era già quello del 1951 – con il monito all’umanità che presagiva una futura invasione massiccia delle creature marziane – e com’è soprattutto quello magistrale di Carpenter, con i due sopravvissuti che si scrutano a vicenda, a un passo dalla morte, ancora sospettosi l’uno dell’altro, timorosi fino all’ultimo respiro che il compagno in realtà sia l’Altro nel suo senso estremo, quella Cosa innominabile e insondabile che popola da sempre i nostri peggiori incubi.