A sessant’anni di distanza, è anche giusto che qualcuno torni a dirigere La Cosa. Magari non lo farà bene, ma non commette nessun atto di lesa maestà: difatti, La Cosa non appartiene né a John W. Campbell, né a Christian Nyby o Howard Hawks, e né tantomeno a John Carpenter, o addirittura a Nanni Moretti, che si servì di quell’affascinante titolo per dare un nome all’indistinta reincarnazione del Partito Comunista dopo la svolta della Bolognina. La verità è che La Cosa è un archetipo della civiltà umana e, per quanto provenga “da un altro mondo”, come sottolineava enfaticamente il film del 1951, è molto più terrestre di quanto si possa immaginare.

La Cosa è una paura atavica che ci accompagna nella nostra evoluzione e non ci abbandona anche quando quelle paure, oggi, ci sembrano sorpassate. Vedendo nel 2011 il film classico del 1951, ben pochi giovani proverebbero qualche brivido, e non ci sarebbe da stupirsi se la maggior parte bollasse la pellicola come un triste prodotto di serie B. Eppure, all’epoca l’alieno enorme, subumano nell’aspetto e sovrumano nella forza e negli appetiti, faceva davvero paura. La “Cosa” del 1951 incarnava le paure di quell’epoca: un visitatore alieno, venuto da un altro mondo, forse da Marte, come afferma sicuro il giornalista che nella base artica cerca il suo scoop. “Santo cielo, è un marziano!”, non esita ad esclamare, entusiasta che finalmente l’esercito “ne abbia uno, un disco volante!”. Il dottor Carrington, perfetta incarnazione dello scienziato pazzo di molta fantascienza di quel periodo, la giudica una scoperta esaltante. Ma ben presto tutti si devono ricredere.

Nello stesso anno in cui usciva La cosa da un altro mondo, nei cinema veniva trasmesso anche Ultimatum alla Terra. I protagonisti dei due film erano entrambi alieni. Ma mentre il primo rappresentava il prototipo dell’alieno irriducibilmente malvagio, dai mostruosi e sanguinari appetiti, contro cui l’umanità deve lottare, il secondo suggeriva agli spettatori americani che, dopo tutto, un extraterrestre poteva anche essere migliore degli esseri umani. Anche se non è difficile definire La cosa da un altro mondo un B-movie rispetto al più raffinato Ultimatum alla Terra, resta il fatto che nello stesso anno l’America si trovava a confrontarsi con due immagini diverse del visitatore extraterrestre. Per quale dei due optare? Il film di Nyby-Hawke resta legato alle logiche della Guerra fredda, dominate dalla minaccia dell’invasore proveniente dall’ignoto, ed esemplificata nell’ammonimento finale: “Dovunque siate, scrutate i cieli!”. L’alieno è irrimediabilmente malvagio, dominato da un inflessibile istinto di sopravvivenza che lo porta a nutrirsi di sangue umano. Viceversa, in Ultimatum alla Terra lo spettatore assisteva a un primo coraggioso tentativo di uscire dallo schema bipolare e proporre una parabola pacifista in cui l’alieno è invece portatore di pace e giustizia universale.

Ma in entrambi i film, il protagonista è sempre e solo l’alieno, al singolare. A uscire dal disco volante è sempre e solo un passeggero, per quanto in Ultimatum alla Terra sia affiancato dal potente robot Gort. L’ipotesi di un viaggiatore solitario tra le stelle è estremamente ingenua, ma dimostra l’interesse prioritario assegnato dai due film all’alieno in quanto personaggio individuale radicalmente opposto all’umano.

L’assunto de La Cosa per cui il visitatore sarebbe in realtà un sistema vegetale intelligente, una sorta di “pianta carnivora” che agisce per puro istinto, è ancora più debole: anche se la fantascienza ha spesso preso in considerazione l’idea di una vita intelligente di tipo vegetale, i concetti di istinto e intelligenza cozzano radicalmente. E non è chiaro come “la Cosa” possa permettersi di costruire una nave spaziale e prendersi il disturbo di superare gli abissi cosmici per arrivare sulla Terra al solo scopo di nutrirsi. Ma è, questa, una visione legata ancora a una concezione primitiva della fantascienza: La Cosa del 1951 è sostanzialmente una riuscita trasposizione cinematografica di tante trame classiche dei pulp degli anni Venti e Trenta, già abbondantemente superate all’epoca.