“Adoro pianificare la mia vita e il mio lavoro: per questo motivo ho già ordinato la mia bara.” Scherza con un’inevitabile punta di black humour britannico il regista quarantenne Duncan Jones quando gli si chiede parlare di come immagina in futuro la sua carriera. Preferisce, invece, non parlare affatto di suo padre, quel David Bowie da cui ha ereditato il grande amore per la fantascienza e da cui si è volutamente distanziato artisticamente, utilizzando il cognome di famiglia, per evitare che la gente guardasse al suo lavoro in virtù del grande talento dell’ovviamente ‘ingombrante’ genitore. Un problema, presto, comunque ‘superato’ in maniera spontanea visto che il suo esordio Moon è uno dei più interessanti film di genere fantascientifico dell’ultimo decennio. Adesso Duncan Jones, che a casa viene chiamato ‘Zowie’ dirige, adesso, Source Code interpretato da Jake Gyllenhall che proprio dopo avere visto il suo primo film, ha voluto presentarlo alla produzione come scelta perfetta per dirigere una storia intricata tra passato e presente in cui si avverte fortemente l’eco delle inquietudini della nostra modernità. “Quando ho letto la sceneggiatura di Source Code mi sono immediatamente reso conto dei materiali originali che conteneva e di alcuni elementi provenienti da tanto altro cinema che avevo visto.” Continua Jones a proposito del film incentrato sull’inquietante avventura di un soldato mandato nel corpo di un altro uomo otto minuti prima che un attacco terroristico distrugga un treno uccidendo centinaia di persone Un’indagine pericolosa quanto insolita che lo porterà a scoprire un’atroce verità su se stesso: “Il risultato finale è stato determinato da elementi differenti come thriller, romanticismo, questioni filosofiche e altre molto pratiche. Il mio lavoro è stato quello, in un certo senso, simile a quello dei giocolieri che lanciano in aria diverse palline provando a dare loro ordine e armonia, rispettando la tradizione del grande cinema che adoro.” 

Che ha quali caratteristiche?

In particolare quella di porre domande scomode: una delle prime proiezioni di Moon è stata alla Nasa in Texas. Cenando con gli scienziati ho potuto porgli delle domande scomode come quella se avessero mai pensato di inviare su Marte astronauti malati terminali di tumore. Questo avrebbe permesso loro di non dovere faticare ad immaginare un modello possibile per il viaggio di ritorno. Ovviamente è un tema che avevano affrontato. Anche in Source Code tocco tematiche politicamente scorrette: come quella, ad esempio, di qualcuno pronto all’estremo sacrificio, anziché subire gli abusi e le angherie della tecnologia.

Quanto lo spaventava del paragone visivo con Ricomincio da capo?

Non molto perché ero consapevole dei legami della sceneggiatura con quel film, ma anche con Deja Vu, L’Esercito delle dodici scimmie e con Quantum Leap cui abbiamo reso omaggio con un cameo vocale del protagonista Scott Bakula nel ruolo del padre del protagonista. Era, semmai, eccitante avere a che fare con tutte queste influenze differenti e giocare con loro per una storia incredibile. Mi interessava dare un grande ritmo ad una storia molto classica che, evidentemente, vuole omaggiare anche Alfred Hitchcock. In questo senso, per me come regista, il problema principale era quello di come rivisitare in maniera ogni volta diversa gli otto minuti sul treno. Io volevo rendere differente ogni ritorno sul treno e, per questo motivo, abbiamo dovuto ricostruire il vagone, perché, altrimenti, non sarebbe stato possibile lavorare su questo elemento su un treno vero.

Quanto si è sentito influenzato anche dalla filosofia dei videogiochi?

Molto, perché io ho sempre giocato sin da quando ero piccolo. Sono un regista sufficientemente giovane per essere cresciuto con i videogames e averne assimilato idee e concetti da tenere presente come riferimento culturale. Nella scena in cui Jake salta dal treno ho voluto, per esempio, fare una citazione da Grand Theft Auto. L’idea di un tizio che ha multiple opzioni per concludere una missione proviene certamente dalla filosofia dei videogiochi.

Il suo cinema è molto diverso da quello della fantascienza, generalmente, un po’ ‘cafona’ che vediamo, in genere, a Hollywood oggigiorno…

Io sono cresciuto guardando film in cui era l’elemento umano e personale a prevalere rispetto alla spettacolarità degli effetti visivi. La migliore fantascienza è quella che si concentra sempre sui personaggi e su come gli individui reagiscono a quanto vivono. La tecnologia è molto meno interessante e coinvolgente.

Qualche esempio?

I film della mia gioventù degli anni Settanta e Ottanta, i libri di Dick e Ballard…narrazioni in cui l’elemento umano è sempre al centro della storia e la fantascienza è utilizzata per raccontare come una persona è toccata e trasformata da circostanze straordinarie. Source Code è anche molto divertente… Ho voluto io aggiungere molto humour per consentire al pubblico di restare concentrato sulla trama e sui suoi diversi elementi. Mi piace pensare che andando a vedere il mio film lo spettatore si lasci coinvolgere in un viaggio emozionante.