Da grandissima appassionata della saga di Dune, come moltissimi altri, aspettavo con ansia questa nuova versione del magnifico libro di Frank Herbert: sulle riviste era stato annunciato come un evento, finalmente l'intera storia non più forzatamente ristretta a causa dei tempi cinematografici come era successo a Lynch. Diviso in due puntate di due ore e mezza ciascuna questa nuova versione di Harrison si fregia di due attori importanti come William Hurt e Giancarlo Giannini, tra i pochissimi (assieme a Ian McNeice che interpreta il deliziosamente perfido Barone Harkonnen) che in questo film sembrino aver compreso fino in fondo la parte che interpretano, la complessità, gli enigmi, la sensibilità, la fragilità e la forza di personaggi pilastro come Leto Atreides e L'imperatore Padisha IV, peccato che Hurt ci lasci necessariamente presto e che Giannini, splendido nelle vesti regali abbia un ruolo ancora più striminzito e superficiale che nel film di Lynch. Gli altri attori si arrabattano e alcuni di loro sembrano davvero spaesati, confusi, lontanissimi dai personaggi che dovrebbero interpretare; lascia sopratutto perplessi la scelta di non evidenziare, deliberatamente, per qualche inspiegabile scelta artistica, caratteri fisici essenziali per la comprensione e l'individuazione di alcune figure centrali nello sviluppo del tessuto narrativo: i Mentat privi delle labbra macchiate di rosso, i dottori Suk privi del sigillo del condizionamento imperiale... peccato che nel film ne parlino senza che paraltro nessuno si prenda la briga si spiegare cos'è. Nel già complessivamente deludente cast di questo film-TV il peggiore è proprio il personaggio principale Paul Atreides, Alec Newman che lo interpreta è assolutamente privo di fisicità, della capacità di penetrare in un uomo così ricco, intenso, magico ma disperatamente umano come Herbert aveva immaginato il Madhi di Dune; ne viene fuori il grigio ritratto di un ragazzo complessato e viziato, ancora schiavo della fase adolescenziale di un rampollo di nobile famiglia che diventa vittima di un destino più grande di lui.

La libertà con cui gli sceneggiatori hanno rimescolato e pasticciato con la trama, già piuttosto complessa della storia, è il punto più dolente: il film parte senza spiegare nulla: per chi non conosce Dune seguire la storia impostata da Harrison è difficile e noioso, addirittura traumatico per chi invece la conosce, e la ama.

Alcuni momenti importanti sia per il loro intrinseco significato sia per la comprensione del film vengono presentati in maniera asciutta e superficiale, come il Gom Jabbar di Paul, ad altri viene dato un risalto inutile; succedono cose totalmente inventate e senza scopo apparente, parlano fra loro personaggi che non si sono mai davvero incontrati, la linea cronologica viene costantemente minata nel suo logico scorrere: va bene la libera interpretazione del regista ma nessuno si è mai permesso di far sposare Ofelia ad Amleto, neanche nelle versioni cinematografiche più audaci! E' molto triste pensare che un libro straordinario come Dune non meriti il rispetto necessario per evitargli di essere strapazzato come ha fatto questo signor Harrison.

La parte visiva è forse l'unica non criticabile (del resto dal film di Lynch sono passati vent'anni di innovazioni grafiche e tecnologiche e già Lynch e Rambaldi avevano fatto uno splendido lavoro, ancora insuperato in certe scelte stilistiche), il grande Storaro ci mette le mani e le immagini si arricchiscono della poesia della luce che il nostro grande sa creare; la computer graphic pensa al resto e pesca a grandi mani nello sconfinato serbatoio immaginifico di Dune per creare splendidi paesaggi, bizzarri mondi e sensazionali vermi del deserto sebbene queste creature abbiano una sfumatura di cattiveria forse molto televisiva ma che disturba profondamente qualunque appasionato di Dune che conosce il vero significato della presenza dei vermi.

Nel complesso Harrison, non so se coscientemente, ha più volte e in maniera disordinata ripreso schemi, visioni, immagini del film di Lynch provocando a volte un triste effetto eco, anche perché il film di Lynch (seppure criticatissimo) si avvicina molto di più alla vera essenza, alla poesia e alla potenza del libro di Herbert. Questo nuovo Dune creato per la TV ed epurato, quasi a forza, del misticismo e della magia che hanno reso Dune un libro storico risulta alla fine un feulleton fantascientifico poco credibile e poco appassionante, non diverso da altri nel suo genere, peccato che Dune sia diverso e peccato sopratutto per questa bella occasione di far scoprire e amare questa storia a nuovi spettatori e, chissà, a nuovi lettori, quasi totalmente mancata.