I germi del postumanismo sono da ricercare in quello che facciamo oggi, nella semantica del nostro vivere contemporaneo: idea, questa, che già altre volte ho avuto occasione di esporre, e che di recente mi è tornata in mente curiosando alcuni link in Rete.

A volte l’assuefazione ai significati e ai cambiamenti provocati dalla tecnologia è pericolosamente subdola; si beneficia - senza pensarci troppo - immediatamente di una nuova invenzione e ci si addormenta, non si specula abbastanza (o per niente) sui significati che il nuovo device o tecnologia introduce nei nostri modi di esistere.

Per provare a rendere più lampante questo mio pensiero posso fare due esempi, ovvero scegliere, come termine di paragone, due tecnologie. La prima? Semplice, molto semplice e dotata di un lessico d’uso intuitivo, quasi quanto il touch introdotto da Apple per i telefonini (in realtà smartphone o meglio, PDAphone) d’ultima generazione: il navigatore satellitare.

Un oggetto che è al contempo tecnologia e gadget, ovvero un dispositivo a se stante che utilizza un particolare programma – in questo caso potremmo parlare di sistema operativo – atto a far funzionare soltanto il navigatore.

Da qualche anno i kit di navigazione satellitare (GPS) sembrano una delle killer application – ovvero prodotti in grado di sbancare il mercato tecnologico – in grado di cambiare la vita a tutti noi; l’indubbia comodità che promettevano di arrecare (e così è stato) ai nostri viaggi, anche brevi, era relegata fino a poco prima dell’avvento del nuovo millennio a un miraggio di pura – sic – fantascienza. Demandare l’itinerario a una mappa intelligente, guidata da un insieme di matematica dei grafi e logica non banalissima, sembrava soltanto un sogno, un capriccio alla portata solo di qualche nababbo o uomo politico altolocato. Oggi, invece, è facile che in famiglia ognuno di noi possieda almeno uno smartphone con antenna GPS e relativo software di navigazione, e che ogni concessionario d’auto doti ogni nuova macchina di un oggetto dedicato, uno schermo da montare sul cruscotto laddove prima esisteva soltanto l’autoradio. Addirittura, negli ultimi tempi è facile trovare un’integrazione in un solo oggetto di autoradio, lettore MP3, Divx, DVD, USB, GPS. Lo schermo touch completa il delirio tecnologico a bordo ed è capace, il tutto, di oscurare lo studio e la curiosità verso il nuovo mezzo meccanico che abbiamo acquistato, lasciando in secondo piano i valori che dovrebbero farci scegliere un modello d’autovettura, come per esempio la tenuta di strada, oppure i bassi consumi, o la capacità di caricare più bagagli e l’esigenza di far stare comodi i passeggeri.

Sottolineo, anche in questa sede, la curva d’incremento tecnologico di questi anni: in pochi lustri abbiamo assistito quantitativamente a così tante innovazioni e invenzioni che i nostri avi non hanno visto nemmeno in più generazioni. Ne deriva palesemente anche un’assuefazione a nuovi modi di vita, tanto che assegniamo al navigatore l’indirizzo d’arrivo e pensiamo a seguire pigramente le sue indicazioni, salvo poi rimanere fulminati da eventuali fault, malfunzionamenti dell’oggetto. Per esempio, vi è mai capitato che il GPS segnali una strada che è, invece, inesistente? O che, peggio, v’indichi che siete in un luogo del tutto incongruente con quello dove invece vi trovate?

La vertigine provata, in quei casi, è pari a un senso di estraniamento: sul momento non si riesce a capire quale dei due continuum è il nostro di appartenenza, eppure, in linea teorica – quantistica, oserei dire – sono veri entrambi: noi ci troviamo con un piede nel continuum reale e con l’altro nel magma di grafi e logica propri del GPS. Se così non fosse, noi non saremmo interdetti, confusi dalle indicazioni discordanti che riceviamo, tanto da farci esitare alcuni istanti prima di decidere cosa dobbiamo fare, quale strada imboccare, a chi dare retta.