Dopo tre ore di gioco, il fischio del robot arbitro lacerò lo stadio, sopra i tumulti dei tifosi, attraversando l’intera città, echeggiando lungo il pianeta e poi lontano nello spazio profondo.Calcio di rigore. 

Marta, sola in casa, strinse al petto una cornice con un ritratto di Alejandro e i gemelli quando erano ancora bambini. Poi si avvicinò allo schermo fino a trovarsi a pochi centimetri dai visi dei figli, inquadrati dalla regia uno accanto all’altro, come un’immagine riflessa da uno specchio, ma con i colori della maglia diversi, una rossa e l’altra nera.

Marta allungò una mano tremante lungo la guancia di Pedro, poi accarezzò l’ologramma di Julio e chiuse gli occhi gonfi di pianto.

Il pubblico seguì in religioso silenzio Pedro, osservandolo entrare nell’area di rigore, sistemare la sfera sopra il dischetto.

Poi accompagnarono il suo sguardo verso la porta, dove Julio attendeva sulla linea, studiando i movimenti del fratello.

Prima del fischio arbitrale, Pedro si voltò a guardare il varco sotto la tribuna, da cui, presto o tardi, sarebbero usciti i Mietitori. Julio lo imitò, poi i fratelli Fuentes si guardarono allo specchio per l’ultima volta.

Quando Pedro colpì la palla, il portello dei Mietitori iniziò ad aprirsi. Nella notte della finale non era previsto il secondo posto: il premio, per chi vinceva all'Azteca, era l’ingresso nella leggenda; per gli sconfitti, c’era solo la morte immediata, in diretta interplanetaria.