Qua e là, sulla radura si erano formati circoli composti da aviani di tribù e villaggi diversi. Si confondevano fra di loro. Stridevano con voce acuta. Si muovevano ritmicamente come al suono di una musica che a John risultava inaudibile. Nel mezzo dei circoli, maschi e femmine si univano mimando il rituale dell'accoppiamento. Qua e là, fra due maschi che avevano scelto la stessa femmina, si svolgeva un combatti­mento figurato che simulava le movenze di una lotta con i becchi. Ogni tanto, qualcuno degli aviani che faceva circolo si univa agli altri che si accoppiavano o contendevano, mentre un maschio e una femmina si scioglievano dal rapido am­plesso per tornare nel circolo, oppure per scegliersi un nuovo compagno.Involontariamente, John Wheeler si trovò coinvolto in una frenetica e grottesca danza orgiastica. Poi, poco per volta, sentì una eccitazione inspiegabile salirgli lungo le ossa.

Il molteplice pigolio, rauco e stridente, aveva raggiunto l'intensità di una musica o di un canto, raschiante e ossessivo.

John si accoppiò con Sheila, più volte, alla maniera rapida e sbrigativa degli aviani. Strano, quel che una settimana prima non gli era riuscito, ora lo faceva con facilità e naturalezza. Un entusiasmo, un ribollimento di forza selvaggia gli ardeva sotto la pelle, come un fuoco.

Un aviano maschio, dalla testa e il petto avvampanti di rosso, si avvicinò a Sheila. Notando Wheeler, si irrigidì in una posa di combattimento mimico. Per un certo tempo, il terre­stre cercò goffamente di imitare le mosse dell'indigeno. Ma alla fine, violando quello che era evidentemente una tradi­zione consacrata dalla necessità di sopravvivenza della specie degli aviani - l'innocuità di quelle lotte -, mandò l'avver­sario a rotolare per terra, colpendolo con un violento pugno allo stomaco. Un brusio diverso, spaventato e stupefatto, si alzò allora fra gli aviani. Ma non accadde nulla. Dopo poco, il rito dell'accoppiamento riprese con foga inalterata.

Boccheggiando, con il respiro ansante, John Wheeler stra­buzzò gli occhi. Si sentiva allo stremo. Qualcuno dovette sospingerlo verso il cerchio esterno dei temporanei spettatori. Qualcuno gli mise in mano un frutto svuotato, simile a una zucca, ripieno di uno strano liquido vegetale. John si sentì subito meglio, e si rituffò nell'orgia. Si accoppiò. Danzò. Si contorse per un'eternità estatica senza tempo, mentre si al­lungavano le ombre di un tramonto infuocato, ancora, ancora, ancora fino a quando gli si piegarono le gambe, e un velo nero di nebbia gli scese sugli occhi.

Bianche le pareti imbottite. E bianchi i lunghi camici degli uomini. Bianche anche le loro facce sospese nell'aria senza colore della grande stanza.

In un angolo, un uomo: una marionetta dai fili spezzati che mima ancora un passo di danza, nelle figurazioni di un rituale non-umano. L'ingranaggio di un orologio rotto gira per sem­pre a vuoto nel tentativo di segnare l'eternità.

Uno degli uomini in camice bianco scuote lentamente la testa.

- Purtroppo, - dice, - certi sacrifici sono necessari e inevi­tabili per la conquista dello spazio. - Poi aggiunge, in un soffio: - È un caso incurabile.