John Wheeler si versò con calma un altro succo di arancia. Non aveva fretta, non ce n'era nessun bisogno. La Victoria era atterrata nella radura con enorme fragore, spaventando i piccoli animali del sottobosco e gli alieni del villaggio. Ora la prossima mossa toccava a loro.

La paura è una reazione comune a tutti gli esseri viventi, intelligenti e non. La paura non permette di distinguerli. Gli alieni sarebbero tornati in ogni caso, questo era certo. Gli esseri evoluti provano paura ma anche curiosità di fronte all'ignoto, mentre gli animali tendono a ignorare tutto ciò che non rappresenta una diretta minaccia. John doveva soltanto stare a vedere, e aveva tutto il tempo per finire la sua aran­ciata. Estrasse un fascicolo da un cassetto: era una copia della relazione di Fesbury, l'uomo che aveva esplorato il pianeta prima di lui.

Per quel che John aveva saputo dai precedenti rapporti, l'atmosfera di quel mondo era respirabile, priva di gas o di batteri particolarmente nocivi. Esisteva una gravità legger­mente superiore a quella terrestre, e maggiore era anche la vicinanza al sole, e più alta la temperatura media. Si trattava comunque di inezie. Il pianeta era ricco d'acqua e di flora. Abbondava anche la fauna, costituita da rettili e uccelli di varie specie. I mammiferi erano sconosciuti. Vi dominava una popolazione aviforme che si aveva motivo di ritenere fornita di un buon quoziente di intelligenza...

John Wheeler aprì il circuito della telecamera esterna.

Attorno all'astronave, la vegetazione sembrava composta essenzialmente di alberi-cespugli dalle foglie a forma di na­stro. Il villaggio era poco distante: appariva come una vasta teoria di emisferi che sembravano costruiti con fango essicca­to. John notò che molti emisferi erano adornati con frasche, canne e pietre colorate, come per rendere meno monotona la distesa delle costruzioni. Quegli ornamenti erano il segno in­dubbio di un sia pure rudimentale senso estetico.

I resoconti di Fesbury, e in particolare la notizia dell'esi­stenza di una razza di alieni aviformi, avevano destato grande sensazione sulla Terra. Avevano anche acceso aspre polemiche sulla sua plausibilità. Eppure, a pensarci bene, anche l'uomo non è forse un'estrema improbabilità evolutiva? Non dovreb­be forse l'uomo discendere da un antenato assolutamente contraddittorio? Una scimmia antropomorfa da un lato così primitiva da non essersi ancora adattata alla vita arboricola, e dall'altro lato, invece, affine ai tipi più evoluti come lo scim­panzé e il gorilla? Una volta cominciata l'esplorazione della galassia, ci si era stupiti di avere incontrato soltanto tre o quattro forme di vita intelligente su migliaia di pianeti abi­tati, ma d'altra parte non ci si era anche stupiti di averle trovate? Wheeler non aveva provato che un modesto interesse per le spiegazioni teoriche. In fondo, come astronauta, era un uomo abituato ad accettare anche l'imprevisto.