Gli occhi di Francesco si aprono, scattando come gli obiettivi di due telecamere. L’inquadratura è fissa sulla finestra e sulla mescola di toni di grigio del cielo. A valle, Bologna s’è già spogliata del vestito notturno, una texture illuminata dall’energia nucleare fornita dai Paesi Alleati. Tutta in ghingheri, Bologna, vecchia troia. Vecchia-triste-puttana ammantata di stelline di propaganda, la gente che di sera torna dalle fabbriche, si stona di olo-ormoni e scopa a distanza col capoufficio. È il ciclo che ricomincia il giorno dopo con l’aurora a rischiarare le tenebre che attanagliano la città quasi ventiquattro ore su ventiquattro.

Bice si stende accanto a lui, sopra le coperte. Prima di abbracciarlo, gli sfiora una guancia con un bacio a fil di labbra. Sussurra: – Sei sveglio?

– Sì e no.

– Senti, i codici per forzare i firewall sono pronti. In pratica, un pass-fake di manutenzione ordinaria. Sarai un funzionario del pubblico impiego che sta verificando le timbrature degli ausiliari per elaborare le buste paga.

Francesco, come percorso da una scossa elettrica, si solleva sui gomiti. – Ottimo. Allora si anticipa tutto?

– Stai calmo, Fra. Non si anticipa un bel niente. I compagni suggeriscono di non far girare i dati in Rete. La minima possibilità di essere intercettati e di bruciare la missione a quanto pare li manda in un loop paranoico. Mi consegneranno le stringhe su un supporto fisso. Ho già un appuntamento giù, a Lagora. Ed è tra meno di tre ore.

– Vengo con te.

– Non è necessario. So cavarmela da sola. Tu riposati. Domani...

– Domani, sì, è il grande giorno.

Labbra su labbra, occhiolino e Bice evapora come un sogno.

Francesco posa gli occhi sul Cast: alto poco meno di due metri, ha il portello leggermente dischiuso. Un invito alla connessione.

Far saltare un ponte.

Non c’è guerra, dagli abissi della storia dell’uomo, che non ne conti almeno uno esploso per aria. È forse tutto là il nonsenso di ogni conflitto: approfondire, scavare sempre di più l’incomunicabilità tra bestie della stessa specie; la giustificazione suprema dello sfruttamento.

Fottere il Server.

Chiamatela guerriglia, chiamatela resistenza, è sempre la stessa merda.

Fottere il Server.

Questo è il mantra.

Fottere il Server.

I ricordi si riversano e si sovrappongono al tempo presente.

Ed ecco il viaggio di Francesco da San Giorgio, paese dell’Aspromonte, a Castiglione dei Pepoli, sull’Appennino Tosco-Emiliano, appena sopra la Linea Gotica; sempre lei, con confini un po’ diversi, con dinamiche e paranoie identiche e amplificate, con paesaggi che ammazzano ogni sogno di libertà.

Castiglione, al suo arrivo, era quanto di più vicino a un piccolo luna park distrutto da un bombardamento: case colorate e semidistrutte, b&b, beauty farm, negozi di grandi firme, il comitato cittadino della Repubblica Federale del Nord, un cinema, addirittura un casinò. Un’urbanistica metropolitana fuori posto, come a voler fare sentire la periferia montanara al centro di una metropoli, il tendere fallito a uno sprawl totale. Il parto nevrotico di urbanisti federali.

Attraversò quel paesello di montagna senza incrociare anima alcuna, col buco del culo stretto e la pistola sotto il pastrano. Il posto era abbandonato da tempo dalla RFN al suo destino, ma c’era di che aver paura, sempre.

Un bar.

L’insegna diceva: Bar Aurora.

Le porte a fotocellula erano fuori uso, e al loro posto qualcuno aveva installato delle tendine. Le oltrepassò non senza difficoltà.

Apparve una squinzia in bikini con le gambe mozze, metà volto squagliato, gocciolante senza sosta particelle da un’orbita, che lo invitava a unirsi ai volontari della RFN già al fronte meridionale. Un ologramma pubblicitario mutilato. Mise fine alle sofferenze della bambola illusoria scovando il generatore e spegnendolo con l’indice. La pupa si sciolse in un bagliore diffuso.

– Ehi, testa di cazzo, come ti permetti di spegnere la donna d’altri? – era Bice a parlare, un sorriso incastonato in un ovale perfetto. Il vento del tempo non pareva averle spostato un solo capello.

Era proprio Lei.

– È tutta energia sprecata, pasticcino.

L’abbraccio: è incredibile come questo semplice gesto possa creare una vera e propria anomalia nello spazio-tempo. Per qualche istante sparirono Guerra Civile, dolore, privazioni e paure.

I ricordi si infrangono sul Cast, è suo l’unico abbraccio che ha a portata di mano, il freddo stringersi degli anfratti oscuri e terribili della Rete.

 

                                 ***

 

Qualcuno sta cercando di intrufolarsi nel suo cabinato. Armando scatta in piedi, l’uccello ancora turgido. La donna, con spirito di dedizione al mestiere, tenta di riportarlo, suo malgrado, al lavoro. Per ringraziamento riceve un manrovescio in bocca. L’uomo, schifato, si ripulisce sul lenzuolo la mano sporca di saliva e sangue. Infila i pantaloni. Spiana la pistola e scende giù di corsa.