Qualcuno forse ricorderà anche quella frase di un famoso spot televisivo del 1985, relativo ad una marca di televisori, in cui un signore con tanto di giacca e cravatta affermava in modo perentorio: “Potevamo stupirvi con effetti speciali e colori ultravivaci, ma noi siamo scienza, non fantascienza”. Per chi ha voglia di andarlo a vedere il link è: http://www.youtube.com/watch?v=S3RuTgdhk3A.

Chi legge fantascienza può trovare quanto meno fastidio in tutto questo (se non rabbia), ma la questione è, a mio avviso, anche più sottile. Quanto tutta questa pubblicità gratuita e – diciamolo pure – negativa ha contribuito e contribuisce a creare una sorta di pregiudizio culturale nei confronti del genere che amiamo? La mia risposta è: abbastanza. Uno spot in televisione o un articolo su un quotidiano nazionale (e quanta colpa hanno i giornalisti che fanno della superficialità la loro arma e usano le parole a caso, senza un preciso motivo) vivono di una diffusione sicuramente più vasta di una rivista di fantascienza e, di conseguenza, alimentano concetti e pregiudizi del tutto sbagliati.“Bisogna trovare le parole giuste: le parole sono importanti!”, affermava Michele, il protagonista del film Palombella Rossa di Nanni Moretti, davanti ad una giornalista un po’ impacciata che usava parole ed espressioni fuori luogo nell’intervistarlo.

Insomma, se le persone comuni, nel senso che non leggono costantemente fantascienza, hanno un'idea sbagliata di cosa sia la fantascienza è anche perché della parola se ne fa spesso un uso improprio, o se preferite a sproposito.

Che sia chiaro, non è che la fantascienza non abbia colpe: vale sempre la nota Legge di Sturgeon nella sua formulazione classica: “Il novanta per cento della fantascienza è spazzatura, ma in effetti il novanta per cento di tutto è spazzatura”. Amen.