Pur inoltrandoci nel futuro, lo scenario di Fiat Voluntas Tua sintetizza chiaramente lo scacchiere politico del 1950: due superpotenze sono pronte a ricorrere al nucleare (nome in codice: Lucifero) pur di interrompere uno stallo snervante. Seguendo le direttive della bolla Quo Peregrinatur Grex, un gruppo di sacerdoti e di suore si prepara all’evacuazione su Alpha Centauri, mentre Zerchi, l’ultimo abate di San Leibowitz, continua strenuamente a curare le anime di un gregge condannato all’estinzione.L’eutanasia, affrontata specificamente in questo racconto, viene presentata nel suo aspetto collettivo e razionale, assumendo una dimensione tragicamente “industriale”. Miller concepisce i “campi di morte” per accostarli provocatoriamente a veri e propri campi di sterminio.  È interessante confrontare lo sviluppo di questo tema al concetto di sacrificio, presente nelle short stories dell’autore (soprattutto in Crucifixus Etiam e Io, sognatore, entrambi raccolti in Visioni dal Futuro del 1964).“Non mi era mai venuto in mente” disse Miller a proposito dei collegamenti tra la sua biografia e l’opera, “che il Cantico fosse la mia personale reazione alla guerra”. Solo durante la stesura delle ultime pagine di Fiat Voluntas Tua, (nelle quali il lettore scopre il destino finale dell’abbazia di San Leibowitz) realizzò: “si accese una lampadina sulla mia testa: buon Dio, questa è l’abbazia di Montecassino? cosa ho scritto?”

Per la presenza di tematiche religiose, il Cantico è messo in relazione a Guerra al grande nulla di James Blish e al già citato Straniero in terra straniera di Heinlein; eppure lo scrittore schivò i tipici interrogativi della social science-fiction, evitò sermoni e camuffamenti politici preferendo concentrare la sua analisi sull’inevitabilità della corruzione della cultura. Miller fotografa un’umanità che persevera nel suo tentativo di raggiungere, mediante la forza bruta, la verità ultima. Progresso tecnologico, ingiustizia e sopraffazione sono costanti destinate ad intrecciarsi morbosamente. In questa chiave, tutti i conflitti del genere umano diventano “apocalissi in miniatura”: ogni guerra è, in qualche modo, il tramonto di una cultura sopraffatta. I pochi superstiti, smarrito ogni punto di riferimento, ripercorrono le origini (non conta quanto appaiano incomprensibili) cercando in esse la forza per procedere. Le armi nucleari – condannate come l’ennesimo tentativo umano di strappare a Dio le risposte fondamentali- incarnano il binomio progresso tecnologico-guerra: l’atomica è l’ultimo mattone della “torre di Babele”, il simbolo dell’arroganza che finirà per condurci al tramonto dell’intera umanità; ciononostante, nemmeno quest’ultimo “abuso” del libero arbitrio può condannarci alla totale estinzione, lasciandoci invece intrappolati in un ciclo alienante di apocalissi e rinascite. Miller rilegge il fallimento dell’uomo con occhio post-moderno: l’umanità potrebbe salvarsi, ma solo negando a sé stessa la possibilità di sfidare i propri limiti, arrendendosi di fronte al più grande interrogativo. “La verità e il significato risiedevano, invisibili, soltanto nel logos obiettivo della Natura e nell'ineffabile Logos di Dio”, scriverà Miller in proposito. Due episodi biblici, non a caso più volte citati, rappresentano l’alfa e l’omega del Cantico: la cacciata di Adamo ed Eva dal paradiso terrestre (rifiuto dell’originale purezza) e l’edificazione della Torre di Babele (perversione della cultura che conduce all’estinzione). L’uomo ha una sola via per la salvezza: arretrare, ridurre il libero arbitrio ad una rassicurante, dogmatica accettazione dei principi divini. Deve, cioè, negare sé stesso e le sue conquiste. I protagonisti, infatti, sono esigui e inconsapevoli eroi, per lo più inascoltati. Possono solo rimandare l’inevitabile collasso, opponendo la fermezza delle convinzioni religiose all’incalzante corruzione del mondo.