Il piccolo androide giunge così nella sottostante e gigantesca discarica, dove avviene un primo sgradevole incontro con alcuni robot ridotti a rottami, i quali lo considerano ormai uno di loro, urlandogli ripetutamente “Uno di noi, uno di noi!” e citando così la comunità di deformi “fenomeni da baraccone” protagonista del film “horror” Freaks (1932) di Tod Browning, pellicola in cui l’urlo “uno di noi!” è al centro di una celebre sequenza. È ipotizzabile che il regista Bowers abbia cercato di alludere con questa citazione all’originaria “vendita ad un circo come fenomeno da baraccone” di cui era vittima Astro Boy nel manga e nella sua prima serie tv, lasciando quindi allo spettatore più adulto e cinefilo la possibilità di coglierla e di comprenderla appieno.

Dopo il breve incontro con quei robot semi-distrutti, Astroboy fa la conoscenza di tre buffi robot che si ispirano ai grandi esponenti del comunismo (nel ripostiglio in cui vivono c’è addirittura un’immagine di Lenin!) per progettare una loro rivoluzione basata sull’utilizzo di una piuma (!), nonché di un gruppo di bambini orfani capitanato dalla piccola Cora e legato all’ambiguo dottor Hamegg. Viene inoltre mostrato come il mondo “terrestre” non sia formato solo dalla discarica, ma anche da zone in cui continuano ad esistere alberi e prati verdi, attenuando così l’iniziale impressione della discarica industriale degradata, priva di posti accoglienti e naturali. Nonostante alcuni momenti di difficoltà, Astroboy (nel film il nome “Astro”, destinato poi a divenire “Astro Boy”, viene suggerito al protagonista dal trio di buffi robot) riesce a conquistare la fiducia e la stima di quei bambini (che non lo vedono come un automa, ma semplicemente come un amico), di altri robot, di Tenma (che successivamente si redimerà rifiutandosi di distruggerlo, per poi provare, nel finale, un certo affetto verso la sua creazione, togliendo così quell’aura di negatività che circondava l’originale personaggio tezukiano) e a salvare uomini e robot dalla minaccia del malvagio presidente Stone (un politico fin troppo conservatore, dato che il suo motto è “non è tempo di cambiare”, come si legge in uno striscione).

Il finale (fin troppo “lieto”, positivo e rassicurante) lascia aperte le porte per un eventuale sequel, mentre il film (a parte le prevedibili discussioni su come la storia di Tezuka sia stata cambiata e adattata dagli americani) può rappresentare un’importante occasione da cogliere per far conoscere ai più piccoli l’originale personaggio di Tezuka, attraverso la successiva visione della serie tv nipponica di Astro Boy degli anni Ottanta (come già detto disponibile in dvd e che, ci auguriamo, possa anche tornare ad essere trasmessa sulle nostre reti nazionali), e/o con la lettura del manga originale, di cui la Planet Manga/Panini Comics ha annunciato una riedizione.

Il film può costituire, infine, un’importante opportunità per il pubblico adolescenziale e/o adulto per scoprire o riscoprire la vasta ed affascinante produzione di Osamu Tezuka, autore fondamentale nella storia del fumetto e dell’animazione giapponese (tra le sue opere più celebri ricordiamo il manga e la prima serie tv di Kimba il leone bianco, il manga Metropolis ispirato all’omonimo film di Fritz Lang divenuto poi un film d’animazione nel 2002, il manga e l’anime della Principessa Zaffiro, la regia del lungometraggio Le 13 fatiche di Ercolino, 1960, basato sulla leggenda dello scimmiotto guerriero Son Goku, e il manga dedicato al medico fuorilegge Black Jack), che meriterebbe una considerazione e un’attenzione ben maggiori nel nostro paese.