Quel momento era però ancora lontano. Mentre ci s’inoltrava nel pomeriggio e la calura aveva smesso di dare fastidio, Andrew e Thelma uscirono nuovamente di casa, di nuovo verso la spiaggia affiancati o seguiti dappresso dal fedele Bobo. Questa volta non fecero il percorso della mattina, ma si diressero verso ovest quasi seguendo il corso discendente del sole.Da quella parte si arrivava al villaggio dove i due americani capitavano spesso a fare compere, ma quel tratto non era molto frequentato dai bagnanti, perché la spiaggia lì si riduceva ad un sottile arco tra il verde intenso della foresta ed il più tenue verdazzurro delle acque marine. Tuttavia, forse proprio per quel motivo, ad Andrew Edwards quel tratto di spiaggia piaceva in maniera particolare; la sabbia lì era diversa, non gialla ambrata ma bianchiccia, formata da minutissimi frammenti di corallo e di conchiglie che il mare aveva pazientemente lavorato fino a ridurre a coriandoli, ed ancor più minute pietruzze cristalline che avevano subito il medesimo trattamento.

In quel tratto di sottile rena biancastra fra il mare e la giungla poteva capitare qualche emozionante scoperta. Un giorno Andrew Edwards vi aveva scoperto, appollaiata sul ramo marcito di un vecchio albero caduto, una ballerina bianca, la “fata dei tropici”. L’uccello della famiglia delle sterne gli era parso prima di riconoscerlo, un piccolo gabbiano od un piccione dalle zampe stranamente palmate e dal becco appuntito. La ballerina, dallo splendido piumaggio niveo, aveva un areale vastissimo che andava da un tropico all’altro ma rea rara da vedere, non faceva il nido ma deponeva il suo uovo alla biforcazione di un ramo e lo covava fino alla schiusa a prezzo di sorprendenti equilibrismi.

Nei giorni seguenti, mentre l’uccello era intento alla cova, Andrew Edwards era passato a sbirciare di là quasi ogni giorno, attento a non far rumore, muovendosi con la delicatezza di una piuma. E l’ancor più incredibile miracolo, quando dall’uovo era uscito un pulcino ricoperto da una peluria nerastra, pigolante, col becco sempre spalancato a reclamare cibo, che pareva impossibile dovesse trasformarsi in un uccello elegante come la propria madre.

Thelma era più pratica di Andrew, non le interessava più che tanto l’ambiente naturale, pensava, e ne parlava allegramente, delle compere che aveva intenzione di fare al villaggio: l’ennesimo pareo o l’ennesimo cappello di paglia, ma ad ogni modo la vita a Playa Grande era a buon mercato, con un dollaro pareva quasi di potersi comprare tutta l’isola.

Il villaggio formato da capanne di legno con il tetto di paglia o di foglie di banano, sembrava altrettanto naturale della foresta o della spuma biancastra delle onde che s’infrangevano sulla riva dell’isola; lì la presenza dell’uomo non era un’intrusione ma un elemento del tutto.

Sembravano le capanne di un villaggio primitivo, ma in realtà c’era tutto. Quella era lo spaccio dove facevano i loro acquisti, quell’altra che si prolungava in una specie di ballatoio coperto, una specie di veranda dal tetto in foglie di banano invece che in vetro o plastica, fino a sopra il mare in un tratto in cui la costa si alzava e diveniva rocciosa, era la posada – ristorante, e c’erano persino la banca e l’ufficio postale dove Andrew e Thelma si vedevano recapitare tutti i mesi le loro pensioni direttamente dagli Stati Uniti. Adiacente alla posta c’era anche il posto telefonico pubblico, ma di quello Andrew si serviva raramente per chiamare negli States, per i compleanni dei figli e dei nipoti e per accertarsi che tutto andasse bene. Lui e Thelma si erano costruiti la loro vita lavorando e risparmiando: era giusto che i figli si facessero la loro senza interferenze.

Rivolse un cenno di saluto al proprietario dello spaccio che, in attesa di clienti, si concedeva un po’ di relax sulla soglia del negozio.