SyFy Channel e Nick Willing tentano di bissare il successo ottenuto con Tin Man, riproponendo la medesima formula.  La formula consiste nel prendere una vecchia favola, attualizzarla e infarcirla di atmosfere steampunk e di buoni attori.  Ma se per Tin Man, che modernizzava il Mago di Oz, la formula aveva funzionato tanto alla perfezione che per anni ha mantenuto il record di ascolti del canale, non si può dire che la ciambella sia venuta col buco anche per questo Alice. La premessa è più o meno universalmente conosciuta, infatti il libro di Lewis Carroll è una delle favole più raccontate a bambini e non.  In questo Alice made in SyFy, il Paese delle Meraviglie viene rappresentato circa un secolo e mezzo dopo gli avvenimenti raccontati in Attraverso lo Specchio.  Come detto in precedenza, l’atmosfera steampunk nel wonderland la fa da padrone, con enormi grattacieli decadenti, macchine volanti insettoidi, tecnologie pseudo-alchimistiche e un enorme labirintico casinò, vero fulcro del potere della Regina di Cuori, la quale mantiene il controllo del suo mondo per mezzo di una specie di droga ottenuta attraverso il drenaggio delle emozioni degli esseri umani rapiti dal nostro mondo al di là dello specchio.

  L’azzeccatissima interpretazione della regina è affidata a un’attrice il cui volto è sinonimo di terrore: la celeberrima Kathy Bates di Misery non deve morire. 

Al suo fianco, nel ruolo dello scialbo e sottomesso Re di Cuori, c’è quel Colm Meany stampato nell’immaginario collettivo dei trekkisti come il Chief O’Brien di TNG.  Il personaggio di Alice è stato sin troppo attualizzato, non è più una bambina, ma una giovane che si avvicina ai trent’anni, determinata, indipendente, per giunta cintura nera di arti marziali e alle prese con una vera e propria disfunzionalità nei rapporti di coppia. Alice ha il volto dell’attrice canadese (dalle evidenti origini italiane) Caterina Scorsone, conosciuta dalle nostre parti per essere stata la protagonista del serial Missing.  Ma forse il personaggio che ha subito maggiori trasformazioni è quello del Cappellaio Matto (Hatter) interpretato da Andrew Lee Potts (il Connor Temple di Primeval), il quale gestisce in qualità di vero e proprio pusher una “sala da tè” che in Wonderland è il luogo di distribuzione delle droghe emozionali. 

A completare il cast principale ci sono due attori di grande spessore e navigata esperienza.

Il primo è Tim Curry nel ruolo di Dodo, per il quale è sufficiente citare l’ormai mitica interpretazione del Dott. Frank N. Furter nel Rocky Horror Picture Show, e il secondo è Harry Dean Stanton (Alien, 1997 fuga da New York, il Miglio Verde) nel ruolo di Caterpillar.  Risulta quindi evidente che Alice è supportata da un ottimo cast, che però non riesce a sopperire ad evidenti difetti di sceneggiatura e ritmo.  Infatti dopo un avvio scoppiettante e un approccio non banale all’universo dentro lo specchio, purtroppo il telefilm si perde per strada.  E’ come se fosse costantemente con il freno a mano tirato, con gli eventi che si susseguono lenti e troppo lineari, con qualche trovata divertente e ingegnosa qua e là, ma che non è sufficiente a rendere convincente una trama il cui finale è scritto praticamente al minuto quindici. 

Ma il vero problema nella sceneggiatura di questo telefilm è nell’errata interpretazione dell’intima essenza dei romanzi di Carroll.

Non è una storia di azione, ma è lisergica introspezione, non è critica sociale, ma un viaggio onirico e interiore, non è superficie, ma è subconscio, e in questo senso una trasposizione televisiva basata sull’affannoso tentativo di renderlo un prodotto lineare, divertente, fruibile e con un messaggio sociale (banalotto), sbaglia tutto e ne stravolge completamente la sostanza. 

Sono proprio le premesse sbagliate a rendere questo telefilm un’occasione sprecata di poter vedere una vera reinterpretazione di Alice.