Di seguito viene riportato l’articolo di Robert Silverberg apparso qualche giorno fa sulla rivista online Asimov’s Science Fiction.

"I meriti della maggior parte della fantascienza di Arthur C. Clarke mi sono sempre un po’ sfuggiti. Non si può negare la schiacciante fertilità visionaria della sua immaginazione, che supera tutti gli altri nella sua capacità di mostrarci le meraviglie di regni ancora inesplorati dello spazio e del tempo, e alcuni dei suoi racconti brevi sono superbi. Ma per la maggior parte, si tratta di romanzi blandi diventati best-seller: Rendezvous with Rama, Imperial Earth, 2001 e i vari sequel non mi hanno mai colpito, nonostante passaggi di grande inventiva concettuale. Hanno goduto di un grande successo commerciale e vinto tanti premi Hugo e Nebula, ma mi ha sempre lasciato perplesso.

Nei miei primi anni come lettore di fantascienza, però, quando tutto era nuovo e meraviglioso per me e non ero ancora pronto per giudicare quello che leggevo con l'occhio di un collega, Clarke aveva un potente impatto su di me, con racconti come Loophole e Rescue Party, e il romanzo breve Against the Fall of Night, che ho letto quando avevo tredici o quattordici anni. Così ho deciso, per questa serie di saggi sulla rilettura dei miei primi autori preferiti di fantascienza, di iniziare con Clarke per vedere che cosa era che avevo trovato così meraviglioso quando l’ho incontrato più di sessanta anni fa.

L'edizione Against the Fall of Night che ho preso dalla mia libreria conteneva anche un racconto, Il Leone di Comarre, scritto nell'estate del 1949, quando ero a malapena nella mia adolescenza. Così ho iniziato la mia ricerca con Clarke.

Anche se non so quando Clarke l’ha scritto, ho il sospetto che la prima bozza, almeno, risale alla metà del 1930, quando Clarke era appena uscito dalla sua adolescenza. La storia si apre con una lunga pagina di lezione storica:

'Verso la fine del XXV secolo, la grande potenza della Scienza aveva finalmente iniziato a defluire. La lunga serie di invenzioni che avevano plasmato e modellato il mondo per quasi mille anni stavano arrivando al suo termine. Tutto era stato scoperto. Uno per uno, tutti i grandi sogni del passato erano diventati realtà. La civiltà era stata completamente meccanizzata, eppure le macchine erano quasi scomparse. Nascoste nei muri delle città o sepolte molto in profondità.... '

E così via per un bel po' fino a quando incontriamo il nostro protagonista, Richard Peyton III, un giovane che rimane poco più di un nome, e noi seguiamo le sue avventure per altre ventimila parole. Egli va alla ricerca della leggendaria città perduta di Comarre, la individua con estrema facilità, e si aggira intorno tra macchine, indigeni e ingegni vari, fino a quando non riesce a utilizzare la sua base di conoscenza per far uscire il mondo dalla sua lunga stagnazione culturale. L'azione si muove a scatti, ed è spesso interrotta da parentesi ‘scientifiche’ ('The First Electronic Age, Peyton lo sapeva, era iniziata nel 1908, più di undici secoli prima, con l'invenzione di De Forest del triodo.... ')

Anche se il giovane Clarke fa presagire il concetto di cui si parla di oggi, la singolarità dell’intelligenza artificiale in grado di superare il nostro intelletto, per il resto è tutto molto banale: nel 2600 si avranno 'comunicatori personali' invece di telefoni, le finestre hanno vetri di 'glassite' al posto del vetro, la camera del Consiglio Mondiale ha un tetto di 'cristalliti', la gente usa 'macchine autoscriventi', invece di macchine da scrivere o computer, e così via: tutti questi sono solo echi di fantascienza, piuttosto che seri sforzi di immaginazione.

Against the Fall of Night è un lavoro molto più interessante, ma ha alcuni inconvenienti lo stesso. Ma questi sono ampiamente compensati dalle sue virtù, ovvero gli occhi dell'innocenza del suo giovane autore.

Non c'è dubbio che questi era un bambino all’epoca di Gernsback. Clarke stesso ha scritto che ha iniziato circa nel 1936, l'ultimo degli anni Gernsback, e continuò ad armeggiare con esso fino al 1940, anno in cui raggiunse una lunghezza di quindicimila parole. Dopo la guerra ci tornò sopra, trasformandolo in un romanzo, poi sottoposto a John W. Campbell, che lo respinse (e poi respinse una versione riscritta sei mesi più tardi, forse infastidito dalla nozione della Terra conquistata da forze aliene superiori, un concetto che andava contro i suoi pregiudizi editoriali). In quel periodo c'era solo un altro mercato di fantascienza di tale lunghezza, la rivista pulp Startling Stories, che pubblicava un racconto lungo in ogni numero.

Poi è apparso nel novembre 1948 sorprendentemente, e l’ho letto in una copia di seconda mano che ho trovato circa sei mesi più tardi.

Ciò che mi affascinava allora, e lo fa ancora oggi, era la sua impostazione in un futuro molto lontano, un miliardo di anni e mezzo, in questo caso. Fin da H.G. Wells (The Time Machine mi ha portato alla fine dell'universo quando avevo dieci anni), ho avuto un amore insaziabile per il sottogenere della fantascienza che si occupa di un lontano futuro, grazie ad autori come S. Fowler Wright con The World Below, Jack Vance con The Dying Earth, Brian Aldiss, e molti altri. Nessuno di questi libri finge di offrire una descrizione accurata dei confini più remoti del tempo, nessuno può scrivere una storia realmente plausibile su un periodo così remoto, o addirittura per il mondo di appena un paio di secoli prima della nostra era. Queste storie sono solo visioni, sogni, fantasie, poesie.

Probabilmente il più grande romanzo del genere ‘fiabe del futuro’ è Last and First Men di Olaf Stapledon (1930), di cui ho parlato lo scorso anno. Clarke, in un'introduzione del 1967 in Against the Fall of Night, ci dice chiaramente che quel libro l’aveva influenzato molto. Against the Fall of Night è l'omaggio del giovane Arthur Clarke a Stapledon. Si parla di un lontano futuro della Terra, che da tempo ha perso il suo impero interstellare contro una razza di conquistatori invincibile, ed è ora un pianeta deserto, dove gli esseri umani, una passiva, solitaria razza immortale, culturalmente stagnante, vivono i loro giorni barricati nella città fortezza di Diaspar. Nessun bambino è nato a Diaspar da settemila anni fino alla venuta del protagonista, il ragazzo Alvin, che ha la curiosità dei giovani affamati. Alvin trova la sua via d'uscita da Diaspar e fa una serie di scoperte che alla fine, come si vede in un turbinio frenetico di rivelazioni nelle ultime pagine del libro, sconvolgerà completamente tutte le nozioni di Diaspar circa l'ultimo miliardi di anni della storia della Terra. Il racconto è lento e goffo. Lo stile è semplice, persino ingenuo. Il ritmo dell'evoluzione biologica pare avere subito una battuta d'arresto: se Clarke ci racconta allegramente di eventi e personaggi venti e cinquanta e cento milioni di anni prima della sua storia, Alvin e i suoi compagni non sembrano molto diversi fisicamente o mentalmente dagli esseri umani della nostra era, né la loro tecnologia è avanzata in modo significativo. È una sensazione piacevole, un libro affascinante, ma dietro c'è un dilettante della tecnica narrativa: Clarke descrive un evento, e un altro, e un altro e, infine, la porta è aperta per le sue rivelazioni che sono frettolose, quasi superficiali. Clarke sembra essere stato cosciente di tali ingenuità del libro, perché per il romanzo La città e le stelle, avrà una trama molto più ampia e complessa.

Anche così, ho trovato Against the Fall of Night coinvolgente quando ero un ragazzo, e abbastanza leggibile anche adesso. Credo che la parola dilettante che ho usato poche righe indietro spiega il suo potere, e, in effetti, il successo di tutti i romanzi di Clarke nel corso dei decenni seguenti. Dilettante può essere una parola sorprendente da applicare a così famoso e molto letto romanziere come Arthur C. Clarke. Ma ha due significati. Quando viene applicato per gli scrittori descrive un non-professionista: chi non ha imparato i trucchi del mestiere della narrazione, la serie di dispositivi tecnici che gli scrittori professionisti utilizzano per attirare i lettori in una storia e tenerli lì. Credo che sia vero per Clarke: dall'inizio alla fine della sua carriera, ha raccontato le sue storie con calma, semplicemente, basandosi esclusivamente sulla forza delle sue idee e il costante tono dolce della sua voce per tenere i lettori interessati. Per la maggior parte, ha funzionato.

Ma quelli di noi che amano la fantascienza sono dilettanti (in inglese amateur, NdR) della fantascienza, e penso che non vi era più grande amatore di Arthur C. Clarke. Ed è l'amore che traspare in Against the Fall of Night e la maggior parte del lavoro che produrrà più tardi e lo rende ancora interessante per noi, nonostante tutte le sue lacune letterarie.”

Che altro aggiungere? Clarke come “dilettante” della fantascienza è un’immagine forte, una provocazione, che potrebbe anche essere vicina a una critica ragionata e imparziale. Ma nel contempo bisogna considerare che è difficile essere imparziali quando si lavora nello stesso campo e quindi si è "avversari".

Giudizio critico illuminato o invidia della notorietà del collega? Ai posteri l’ardua sentenza…