Nel romanzo si avverte anche una sfumatura di denuncia della miriade di processi di mercificazione, grandi e piccoli, che già da tempo vediamo all’opera nel mondo che ci circonda. L’ambiente e l’uomo sembrano destinati a nient’altro che fornire brevetti utili a corporation come la tua Silitron. Credi anche tu che la bioetica rappresenti ormai una frontiera ineludibile, negli sviluppi imminenti della fantascienza?

Certamente lo sviluppo delle nuove tecnologie pone quesiti che fino a poco tempo fa erano solo utopie o per l’appunto ardite fantasie da romanzo di SF. Eppure chiedersi se sia lecito congelare un embrione per poi impiantarlo tra 40 anni in un utero oppure criogenizzare il proprio DNA e magari modificarlo per adattarsi a un ambiente che muta per risvegliarsi tra cent’anni, è una domanda che necessita se non di risposte immediate quanto meno di un inizio di discussione. In altri paesi il dibattito è avanzato mentre da noi stenta a cominciare, inibito da pregiudizi e limiti culturali che tuttavia la Rete sta abbattendo a una velocità impressionante. Sono sempre di più quelli che scelgono di spegnere la TV e collegarsi a internet per informarsi. Personalmente ogni giorno seguo gli aggiornamenti di TED (www.ted.com) un coacervo di filmati sulle idee, i dibattiti e le scoperte più importanti del nostro presente e futuro. Tutto gratis e tradotto in più di 55 lingue. Le cose accadono anche se molti lo ignorano. 

Uno degli elementi più curiosi del tuo romanzo è la sua ambientazione. Se già lo scorso anno avevamo avuto un assaggio di sovietizzazione dell’occidente, nell’ucronia di Donato Altomare che ti ha preceduto nell’albo d’oro del Premio Urania (Il dono di Svet, uscito nel n. 1540 della collana), nel tuo caso si arriva a uno scenario moscovita estremamente realistico. C’è una ragione particolare per questa scelta? Parlaci del mondo che fa da sfondo alle investigazioni di Gankin. 

Conosco la Russia da molti anni e ci sono vissuto per lunghi periodi. Gran parte del romanzo è stato scritto tra Mosca e San Pietroburgo. All’inizio avevo pensato a un’ambientazione europea o orientale. Ma poi, con il trascorrere del tempo, questo paese mi ha convinto di possedere gli elementi giusti per basarvi il romanzo: una fame ingorda di novità e cambiamenti che a volte rasenta il ridicolo e più spesso l’eccesso, una propensione per gli “esperimenti utopistici di massa”, facilitata anche dalla naturale ingenuità e spontaneità della popolazione, uno sprezzo delle trasgressioni che i russi non hanno problemi ha compiere alla luce del giorno, a differenza degli europei dove la storia e la religione ci hanno resi più coscienti e quindi più pudichi. Facciamo un po’ tutti le stesse cose, anche se non proprio quelle descritte nel romanzo, ma noi ce ne vergogniamo mentre loro se ne vantano. La Mosca del romanzo è quella che secondo me sta emergendo in questi anni: una metropoli ricchissima, esterofila e all’avanguardia per molti aspetti ma ancora pesantemente arretrata, rassegnata e sciovinista per altri. Il passaggio dal sistema comunista a quello capitalista, se ha lasciato profonde cicatrici nel tessuto sociale russo che comunque va ricomponendosi, nella sfera psicologica dei giovani è stato uno shock tremendo. La generazione di passaggio è ancora confusa e sbandata mentre quella successiva ha rimosso ogni traccia del passato e vive delle suggestioni del momento e sugli stereotipi fugaci di un presente frammentario. Il futuro, a Mosca, si ridecide in ogni istante e proprio per questo mi è sembrato un luogo adatto al romanzo. 

Parliamo di fantascienza. Come vedi gli sviluppi di questi ultimi anni, all’estero con l’emersione del filone postumanista dalla galassia post-cyberpunk, e in Italia? 

Sono fiducioso. I nuovi orizzonti scientifici e tecnologici vengono battuti da grandi scrittori del calibro di Charles Stross e Richard Morgan, solo per citarne due e questo mi fa ben sperare. Inoltre sapere che Alastair Reynolds ha firmato un contratto per la Gollancz da un milione di euro per dieci romanzi in dieci anni, mi fa credere che debba esistere, almeno in UK e America, un mercato in grado di assorbire questi libri se un editore si sbilancia tanto. Certo sarebbe bello se anche in Italia la SF venisse finalmente sdoganata come neppure il periodo d’oro degli anni Sessanta e Settanta era riuscito a fare, ma questa è un’altra storia: una storia che forse troverà un degno contributo nella corrente letteraria del connettivismo, a cui mi sono affacciato da poco e che possiede tutti i numeri, a mio parere, per dire la sua nel panorama letterario italiano e non solo. Ė una sfida ardita.  

Quali progetti hai in serbo per il futuro?

I progetti sono molti e di natura diversa: dalla stesura del terzo romanzo, Livido, che conto di finire entro l’anno, alla collaborazione con la rivista di cultura connettivista NeXT diretta da Sandro Battisti per finire con la direzione editoriale di una collana di fantascienza, fantastico e neo-noir, chiamata Avatar, all’interno di una piccola, benché storica, casa editrice di fantascienza come la Kipple Officina Libraria di Luka Kremo Baroncinij. Per gli aggiornamenti su tutto questo e altro ancora, vi invito a visitare il mio sito web all’indirizzo: www.francescoverso.com oppure www.kipple.it.