Il ritorno di Alex Proyas al cinema e alla fantascienza cinque anni dopo il mezzo flop di Io, Robot avviene sotto il segno delle stimmate. Piuttosto che fantascienza, il suo Knowing (che i titolisti italiani sempre molto brillanti hanno tradotto con il banalissimo Segnali dal futuro) è infatti un fanta-thriller con molti, tanti, troppi risvolti religiosi. A partire in realtà dal titolo: “Knowing”, la conoscenza, il sapere, sembra riferirsi all’inquietante capacità predittiva dei giovanissimi co-protagonisti, ossessionati da numeri che indicano le coordinate spaziali e temporali di terribili sciagure. Ma quale sia il vero significato del titolo lo si può scoprire solo nell’ultimissima scena, quando lo spettatore sopravvissuto a un bel bagno di pessimismo si vedrà comparire davanti un albero di biblica memoria. Al fianco dei due bambini prescelti da chissà chi, troviamo l’australiana Rose Byrne e l’onnipresente Nicolas Cage che con la fantascienza (o, almeno, presunta tale) comincia ad andare d’accordo, considerando alcuni tra gli ultimi titoli (Next, Ghost Rider).

L’autore della storia è Ryne Douglas Pearson, devoto cattolico con due zii preti alle spalle e cinque romanzi finora pubblicati, dove invariabilmente troviamo l’America in pericolo o bambini dalle prodigiose capacità (vedi Codice Mercury, con Bruce Willis, tratto dal penultimo romanzo di Pearson). Questa volta in pericolo purtroppo è l’intero pianeta, la cui minaccia proveniente dallo spazio sembra fare il verso ad alcuni gettonati tam-tam sul 2012 (il brillamento solare che rischia di friggerci tutti) se non fosse che – per evitare probabilmente contrasti con il mega-kolossal catastrofista in tema a cui sta lavorando Roland Emmerich – l’ambientazione del film è nel 2009 per cui almeno questa volta possiamo stare tranquilli (gli avvenimenti dovrebbero già essersi verificati).

Nel 1959 gli alunni di una scuola elementare, per festeggiare l’inaugurazione dell’istituto, inseriscono i loro disegni sul futuro in una capsula del tempo, ossia un contenitore d’acciaio che viene seppellito e sigillato sotto terra per essere riaperto cinquant’anni più tardi. Così, nel 2009, la capsula è riaperta e i lavoretti vengono consegnati ciascuno a un alunno. Il piccolo Caleb è l’unico che si ritrova tra le mani non un disegno ma un delirio cabalistico di numeri che riempiono le due facciate del foglio; l’autrice è una sua collega di cinquant’anni prima, una bambina non molto sana di mente, proprio colei che a suo tempo propose la capsula del tempo per festeggiare l’inaugurazione. Il foglio entra in possesso del padre, John (Nicolas Cage), da poco inconsolabile vedovo e incapace di far appassionare il figlio alle sue serate a base di hot dog e osservazioni col telescopio. John è un professore di astrofisica, scettico se non ateo, incapace di rassegnarsi alla morte della moglie trovando piuttosto rifugio nella misantropia e nell’alcol. Davanti a quell’intrico di numeri John cerca di trovare un senso nascosto, e dopo vari tentativi gli si para davanti una data non proprio casuale: 9/11/01. Il numero successivo è quello dei morti della tragedia dell’11 settembre. A partire da questo momento inizia la discesa all’inferno di John e del figlio Caleb, al centro di un’inquietante serie di profezie dai risvolti catastrofici che inesorabilmente si avverano; l’unico modo per uscirne è ritrovare l’alunna disturbata, autrice di quella terribile sequenza di numeri, o meglio la figlia e la nipote di lei, dato che la povera Lucinda è morta da tempo di overdose (benché l’attrice sia la stessa che impersona la nipote, Abby, affascinante riferimento profetico).