Henry si svegliò presto.

Aveva in testa svariate idee, ma un solo vero progetto da realizzare. Sapeva che lo avrebbe impegnato non poco e che si sarebbe dovuto dar da fare.

Faceva freddo, come ogni mattina da quando aveva messo piede su quel fottuto pianeta.

La casa in cui soggiornava, ricavata nella roccia, era gelida. Grazie ai suoi generatori di energia era riuscito ad avere la luce e a riscaldare un minimo – ma proprio un minimo - l’ambiente.

Si lavò con l’acqua del catino, tratta poco prima dal pozzo antistante l’abitazione. Era ghiacciata. Rabbrividì. Si asciugò rapidamente con un canovaccio ruvido e indossò, con non poco sollievo, la sua tuta termica.

Si accostò alla finestra dai contorni rocciosi irregolari dalla quale provenivano spifferi poco incoraggianti. Lalande stava sorgendo, colorando il cielo di infiniti bagliori multicolore.

Gli venne il buonumore. I suoi amici erano partiti la sera prima. Li avrebbe rivisti fra qualche giorno. Lui ne avrebbe approfittato per concludere quell’affare che da tempo aveva in testa e che loro non avrebbero approvato. Soprattutto lei: Nina, che lo aveva già redarguito in proposito dicendogli che si sarebbe cacciato in qualche guaio. Nina: il suo grande amore. L’unica che avrebbe potuto amare nella sua vita, ma che era indissolubilmente legata ad un altro uomo contro ogni avversità e destino. Sospirò.

Si domandò se il negozio di attrezzature sportive avesse già aperto in paese. Controllò il suo orologio. Sulla Terra era quasi mezzogiorno. Il pensiero gli mise fame. Concluse una rapida colazione con quel poco che disponeva. Ben poco in realtà: del pane raffermo e del latte.

Attese pazientemente su un dondolo cigolante che fosse l’orario giusto. Uscì che erano le dieci, ora locale.

Il paesino di montagna era piacevole. L’aria era tersa e inspirò a pieni polmoni, sapeva che dove si sarebbe diretto tutto ciò gli sarebbe mancato.

Giunse nel centro della piccola cittadina dopo qualche minuto di cammino. La piazza, con la sua fontana circolare zampillante, dalle numerose cannelle, infondeva allegria.

L’emporio parecchio grande, forse troppo per un villaggio così piccolo, lo stupì con la grande varietà di merci in esso contenute. Non gli ci volle molto a comprenderne il motivo: numerose spedizioni per i territori circostanti (fossero le montagne o il deserto occupato dai mutanti) partivano proprio da lì. Molti clienti erano di fuori: degli stranieri, come lui.

Si guardò intorno con aria distratta. Sapeva bene quello che voleva, solo che non aveva idea di come fosse l’armamentario che cercava.

Il commesso, un uomo bassino dalla carnagione olivastra e gli occhi verdi gatteschi, stava servendo un altro cliente.

Attese pazientemente. Non aveva fretta. Aveva tutto il tempo che voleva. Avrebbe fatto ritorno all’astronave fra quattro giorni. Il suo volo interno fino allo spazioporto era già stato prenotato.

Ci vollero ancora una decina di minuti prima che l’uomo si liberasse e si dedicasse a lui. Gli chiese ciò che gli occorreva e il commesso scosse il capo squadrandolo:

– Non so se me ne sono rimaste della sua misura, devo controllare in magazzino. La sua taglia terrestre dovrebbe essere una cinquantadue.

– Cinquantaquattro – lo corresse Henry.