Ma esisterà ancora la fantascienza come genere? Di sicuro utilizzare schemi narrativi che permettano di dispiegare maggiormente l'immaginazione sfuggendo alle pastoie del romanzo "mainstream" è uno degli espedienti che prima o poi tenta qualsiasi scrittore. Specialmente chi vuole puntualizzare la propria attenzione sui problemi reali della società in cui vive.

Cosa c'è di più comodo e stimolante per il lettore che appassionarsi alle vicende di personaggi in una società del tutto fittizia e, una volta terminata la lettura, avere quel momento di riflessione che ti regala uno sguardo diverso sulla realtà che ti circonda? Succede questo quando si chiude Milano ultima fermata di Simone Farè (Cabila Edizioni), romanzo ambientato in un futuro utopico dove Milano è diventata una città-stato protetta da una barriera, detentrice dell'Energia Pura e percorsa da lotte di potere che coinvolgono piccoli gruppi dissidenti, organi di polizia, governo tecnocratico e superpotenze straniere occidentali e non.

Ma non sono le trame internazionali a farla da padrone. Il lettore viene in realtà spinto a seguire le vicende di personaggi comuni che vivono esattamente come noi, dedicandosi, insomma, al proprio piccolo orto, ritenendo i grandi disegni come inevitabili, abituandosi a rivolgimenti di fronte al vertice politico, cercando di strappare un po' di buona vita per un po' di tempo, accontentandosi. Ovvero come tutti viviamo oggi, lasciando "grandi poteri con grandi responsabilità" in mano a persone che restano "piccole". Ma discutiamone con l'autore in persona.

Partiamo dal nome della città-stato, non più Milano ma Mediolanum... mi viene da dire "costruita intorno a te", no?

Ti dirò, il collegamento mi è stato fatto notare a posteriori, io non lo sentivo proprio. La mia idea è che un regime, insediandosi, cambia i nomi alle cose per affermare la sua identità. E, nel caso della città, mi sembrava plausibile che per ribattezzarla si usasse il suo nome antico. Comunque, visto che tra il mondo del libro e quello reale non ci sono espliciti collegamenti, qualcuno può costruirsi una dietrologia che vede il potere di qualche banca dietro il colpo di stato che ha portato al nuovo ordine!

Domanda d'obbligo: genesi della storia, come, quando e perché.

Metropolitana, metropolitana, metropolitana. In verità la storia nasce da due ispirazioni distinte. Innanzitutto c'è un mio piccolo ragionamento per assurdo: se è vero che il controllo dell'energia è il metro su cui si misura il potere di una nazione, cosa accadrebbe se un'energia illimitata fosse in mano a qualcosa di microscopico e debole? Poi, dall'altra parte, devo ammettere che i lunghi viaggi in metro fatti durante tutto il periodo dell'università hanno influenzato molto la creazione della GIL e, più in generale, l'intero scenario sotterraneo.

E le radici "letterarie" delle tue ispirazioni? Magari anche cinematografiche?

L'humus da cui in generale nasce la mia passione per la scrittura è la fantascienza in tutte le sue forme, sia letterarie che cinematografiche. Milano ultima fermata però non è un libro che si possa considerare strettamente di fantascienza, mi sembrerebbe strano venire a dire che ho cercato di trasferirgli l'atmosfera cupa delle città di Blade Runner o che la scienza della Barriera deriva dall'immaginario delle città del futuro anni '60. Penso che il riferimento, anche un po' inconscio, sia il mondo del giallo, intorno a cui mi sono divertito a ricostruire un mondo mio, ma fantascientifico "quel tanto che basta". Credo che, soprattutto in un contesto italiano, a fare riferimento alle figure cardine della science fiction il rischio di finire semplicemente a scimmiottare sia altissimo.

Concordo, noi italiani soffriamo da sempre di un complesso di inferiorità rispetto agli anglosassoni sul campo della fantascienza, anche se ultimamente la narrativa di genere (giallo, noir, horror, ecc.) sembra vendere di più e quindi sempre più scrittori "seri" vi si dedicano. Ma secondo te esiste la divisione "scrittori seri/scrittori di genere"? E quali sono quelli che leggi?

Secondo me, più che scrittori di genere esistono libri di genere. Si può scrivere un libro al mese perché finisca nelle edicole, la gente lo legga in mezz'ora e poi lo butti via. Simenon lo faceva con Maigret, ma Simenon oltre a Maigret, ha scritto anche libri "seri", anche se ovviamente ci metteva di più, come tempo e impegno. Per me questa è l'unica definizione di "libro di genere" che abbia senso. Secondo me è sbagliato dire invece che un libro di genere, proprio perché ha scelto di essere un noir, un horror, un libro FS ecc. ecc. sia limitato e non possa andare oltre una certa soglia di qualità. L'unica variabile per determinare la qualità di un romanzo è il talento (e l'impegno) dello scrittore. Io, se potessi campare scrivendo letteratura di genere, ovvero buttando libricini al pubblico a cadenza regolare senza che nessuno mi chieda di vergare mai capolavori sarei contento, sfortunatamente di questi giorni non è più qualcosa che possa portare il pane in tavola. Per quello che riguarda le mie letture, leggo un po' di tutto, senza mai fissarmi su qualche ambito. Ho avuto i miei periodi ossessionati (Dick, Ellroy) ma credo che ogni tanto ci si debba lasciar sfidare da qualcosa che non si conosce...

E così non si può campare di scrittura, ma allora, perché farlo? Scrivere intendo...

Fortunatamente ho cominciato a scrivere prima di essere abbastanza lucido per chiedermi il perché! E anche adesso spiegarmelo non è facile. E' come se avessi in testa qualcosa che avanza e che non sai dove mettere, ma che non riesci a buttare via. E' un solaio dei pensieri, ci accumuli tutte le cose che ti vengono in testa. Poi, ovviamente, quando vai a rivederlo, capisci che c'è un mucchio di ciarpame che dovresti buttare (ma che non butterai) e degli oggetti che effettivamente meritano di esserci e, anzi, periodicamente devi tornare a visitare. E il bello è che fai tutto questo per te. Scrivere per gli altri o scrivere per pubblicare è una cosa che viene in un secondo tempo...

Cioè una sorta di... gioco? Perché, diciamolo, scrivere può essere anche un gioco, no?

Scrivere è gioco. Quando si è bambini si passa la maggior parte del tempo a giocare pensando di essere qualcun'altro, vivendo avventure, esplorando luoghi e possibilità impensabili. Scrivere è solo credere abbastanza in queste fantasie da decidere di impegnarsi a renderle qualcosa di "reale" come un libro, un racconto, una storia. In cambio si riceve l'opportunità di continuare a giocare anche quando si è ormai grandi.

E poi come sei passato dal gioco alla pubblicazione?

Il sogno, ovviamente, è stato sempre presente. Quello che è successo, però, è che, dopo aver lasciato il manoscritto ancora non completamente corretto sulla mia scrivania per anni (letteralmente), il giorno che ho deciso di riprenderlo in mano per chissà che motivo, una mia amica mi ha detto che conosceva un editore e mi ha messo in contatto con Cabila. Da lì l'iter è stato abbastanza tranquillo: il romanzo è piaciuto ed è arrivato nelle librerie.

E adesso? Ci sono altri manoscritti sulla scrivania?

Dicessi di no mentirei! Però non voglio parlarne, finché un manoscritto è sulla mia scrivania, è solo un po' di carta con su delle robe, chiunque potrebbe accumularne, niente di cui vantarsi. Vedremo che destino avrà dopo che ci avrò dato dentro con la carta vetrata per le rifiniture e l'avrò mandato a tentare la fortuna nel mondo.

Non so se suona più come minaccia o come promessa, comunque aspetteremo fiduciosi, e ora, per concludere, ti concedo una frase storica. Vai...

A me piace sempre ricordare che Salgari non è mai stato in Malesia, perché "scrivere è viaggiare senza l'ingombro delle valige". Certo, è un'affermazione da pigro pantofolaio, ma dimostra che anche per i pantofolai c'è speranza!