Lei è un grande appassionato del volo…

Sì, ogni volta che decollo mi sembra strano che un aereo riesca staccarsi da terra e a volare. Da piccolo ero ossessionato da tutti i film sui disastri aerei della serie Airport. Quella di volare è una fascinazione che mi porto dentro da sempre così come quella per il tempo. Mi piace confondere il pubblico e obbligarlo a capire dove si trova e in quale contesto. So che può confondere qualcuno, ma adoro, come spettatore, non sapere esattamente dove mi trovo.

Quando è nata la serie originale c’era una guerra: quella in Vietnam. Oggi c’è un altro conflitto in Iraq. È un caso?

La prima direttiva, ovvero il non volere interferire negli affari altrui, era un ottimo modello di comportamento anche se, come sappiamo, Kirk trovava il modo di violare questa regola quasi in ogni episodio. Credo che, in tempi bui come questi dal punto di vista economico e sociale, vedere storie piene di speranza costituisca un arricchimento per il pubblico.

Lei ha reinventato un franchise come Mission: Impossible, poi i film dei mostri con Cloverfield e adesso Star Trek: come fa ad avvicinarsi a questi classici e a “gerovitalizzarle”?

Quello che faccio, ogni volta, è guardare al lavoro dalla prospettiva del pubblico, di cui mi considero parte. Il mio intento è portare sullo schermo quello che vorrei vedere io per primo come spettatore. Mi interessa un approccio a quello che mi piace, che mi emoziona, a ciò che ho amato da ragazzino e che, come Star Trek, forse, non ho nemmeno del tutto capito. Non rifaccio solo le cose che mi piacevano da ragazzino, altrimenti non avrei mai lavorato su Star Trek. Il mio desiderio è trovare un punto di ingresso in una storia e in un progetto, sviluppandolo.

E questo basta?

Sono convinto che qualsiasi storia, se è ben fatta, possa rivelarsi molto interessante per tutti gli spettatori. Io non credo all’idea secondo cui il pubblico è frammentato. Penso che se un film è buono, tutti andranno a vederlo indipendentemente dal suo pubblico di riferimento. Una bella canzone resta una bella canzone indipendentemente dal suo genere e noi l’ascolteremo. Bastano trenta secondi per amare un gran pezzo musicale e lo stesso dicasi per il cinema. Se un film è buono, il pubblico lo amerà a prescindere da tutto. La chiave del mio lavoro è questa: prendere il meglio delle storie che racconto e lavorarci su ponendomi un sacco di domande. Tutti i generi sono rilevanti e potenzialmente interessanti anche per un pubblico che immagina di avere visto tutto. A me non interessa se si tratta di una commedia romantica, di un film sui mostri o di un’avventura nello spazio: credo che la cosa più importante resti sempre la qualità della storia che stiamo tentando di raccontare. Si tratta di un esperimento: alle volte funziona, altre no. Quando mi sono avvicinato a questo progetto non ho pensato a un film di Star Trek, bensì a una storia fatta di personaggi interessanti e intriganti che, per pura coincidenza, facevano parte della saga di Star Trek.