- Fosti ad un soffio dal bando – ricordò gelido Balthazar – E solo la mia intercessione…- Non ti deluderò! Dovrei aver finito di pagare gli errori di un adolescente.- Infatti fai parte del Consiglio… – concluse benevolo il vecchio – Buonanotte Ulrich.- Notte serena, Balthazar - sospirò l’altro.

Un paio di gigantesche ali specchiate annunciavano scintillanti l’incontro con Bethlehem.

Il fisico magro da adolescente in lotta contro l’assenza di peso, Theo rimase a lungo ad osservare dalla cupola dell’Asteria la mole oscura del guscio che proteggeva cinquemila persone dal gelo ostile dello spazio cosmico. Adesso poteva cogliere con chiarezza il movimento rotatorio che mostrava tutta la complessa struttura dell’enorme cilindro. A un'estremità la stazione per la produzione di energia, lo schermo parabolico su una serie di celle tubolari; a fianco i generatori a turbina. Dal mozzo centrale si spiegavano per decine di chilometri di lunghezza gli specchi che decidevano del giorno e della notte sulla colonia: in quel momento riflettevano come titaniche elitre i raggi solari verso l’esterno, allontanando la luce dalla calotta trasparente del “cielo” di Bethlehem, invisibile, immerso com’era nel buio.

- Ci siamo quasi. – Commentò impassibile Harrison che aveva raggiunto Theo sulla plancia levitando silenziosamente.

- Asteria, vi abbiamo agganciato. Tra ottanta secondi inizierete la sequenza di avvicinamento – irruppe quasi nello stesso istante una voce monocorde.

- Ok, Bethlehem. Disattivo la propulsione… Interconnessione dei sistemi di guida avviata – ricambiò senza particolare entusiasmo Serrano.

- Salve, Serrano. Sono Fratello Ulrich. Attracco meno dodici ore.

- Bentrovato, Ulrich. Da quanto tempo…

- Conosci la procedura, vero? – tagliò corto la voce – Qui da noi sarà notte fonda, naturalmente. Avrete circa sei ore per riparare il danno e abbandonare la colonia. Mi auguro che il tuo equipaggio ricordi le istruzioni del caso.

- Nessun problema, fratello. Sei ore saranno più che sufficienti.

Serrano sbuffò impaziente: non era ancora arrivato su Bethlehem e già non vedeva l’ora di andarsene.

- Come te l’immagini il futuro?

L’interrogativo di Jona, una sorta di pensiero a voce alta, non stupì Geremia - abituato alle stranezze dell’amico - che non si sottrasse alla domanda.

- Quante volte ne abbiamo già parlato? Abbiamo appena finito gli studi, per noi è ora di imparare l'agricoltura e la carpenteria. Io andrò a lavorare da mio zio Heinrich a Mennon City. Per Martha e Zoe ci saranno i lavori di casa e la cura familiare…