Burroughs, in concorrenza con IBM per conquistare il mercato degli elaboratori commerciali, avrebbe fornito le apparecchiature ausiliarie e il supporto industriale per realizzare i componenti di nuovo disegno altrimenti non reperibili, l’agenzia governativa DARPA (Defense Advanced Research Projects Agency), controllata dal Pentagono e impegnata nel progetto della rete digitale a prova di attacco nucleare ARPANET (origine dell’attuale Internet), avrebbe assicurato gran parte degli ingenti finanziamenti e l’Università infine avrebbe curato gli aspetti organizzativi e scientifici dell’ambizioso progetto.A differenza dei calcolatori fondati sull’architettura di von Neumann in cui un flusso di istruzioni prelevato dalla memoria viene sequenzialmente elaborato dal processore, ILLIAC IV sarebbe stato in grado di trattare simultaneamente più flussi di istruzioni tutte facenti parte di un unico programma volto alla soluzione di uno specifico problema, grazie a una rete di duecentocinquantasei elementi di calcolo, ciascuno dotato di propria memoria e organi ausiliari: in pratica un elaboratore parallelo vettoriale.Un sistema di calcolo così organizzato si adatta perfettamente alla soluzione di problemi descritti da sistemi di equazioni, quali simulazioni fluidodinamiche o analisi di strutture molecolari, ma si dimostra estremamente inefficiente nel trattare algoritmi non riconducibili a una logica di natura parallela, come la quasi totalità dei compiti affidati usualmente agli elaboratori. L’obbiettivo era ottenere una potenza di calcolo di tre ordini di grandezza superiore a quella di ogni macchina per elaborazioni scientifiche del tempo: un gigaflops, ossia un miliardo di operazioni matematiche al secondo.

Il progetto presentava sin dalla concezione un “tallone d’Achille” adottando il principio delle “soluzioni non garantite”, ossia si faceva affidamento su componenti e tecnologie ancora in via di sviluppo, ma che si scommetteva sarebbero divenute disponibili al momento opportuno. Tale metodologia, unita alla gestione assai approssimativa di un’organizzazione di grandi dimensioni tipica della prassi accademica, si rivelò micidiale. I continui cambi di specifiche in corso d’opera e un’inaspettata velocizzazione della frequenza degli elementi di calcolo resero inutilizzabili le memorie a film magnetico su cui la Burroughs puntava per rafforzare la propria immagine di leadership tecnologica producendo serie ripercussioni sui piani aziendali. Molti ricercatori inoltre tendevano a privilegiare aspetti marginali del progetto, ma affini ai propri interessi di ricerca, a scapito del rispetto della pianificazione generale. Mentre i costi lievitavano, i tempi divenivano sempre più incerti e l’intero progetto sprofondava visibilmente nel caos, come Bob Dylan andava cantando, anche i tempi cambiavano. La contestazione giovanile sbocciata a Berkeley dalla California era dilagata in tutti i campus trascinandosi appresso un velato sentimento antiscientifico insieme all’insofferenza per le regole e i poteri costituiti. Nel clima sempre più eccitato delle manifestazioni pacifiste si sparse la voce che il supercomputer ILLIAC IV sarebbe stato destinato al controllo diretto del sistema di attacco nucleare. Le presunte rivelazioni, che si rifacevano a un controverso piano caldeggiato dalla RAND Corporation, erano ovviamente una leggenda metropolitana, alimentata da romanzi e film come Colossus: The Forbin Project del 1969, ma spinsero le frange più violente del movimento a organizzare un’azione risolutiva.  Anticipando di venti anni l’impresa di Sarah Connor per impedire la creazione di Skynet in Terminator 2: Il giorno del Giudizio di James Cameron (1991) fu tentato l’assalto all’edificio dove ILLIAC IV veniva allestito con l’intento di dargli fuoco. I danni materiali furono modesti, ma l’impressione suscitata enorme. Da quel momento ogni attività del campus fu virtualmente bloccata mentre interveniva la Guardia Nazionale a difesa dei laboratori. In questo turbine di follia collettiva il tragico evento di Madisom assunse una valenza liberatoria. Il senato accademico, prostrato dalle continue minacce e disorientato dalla generale confusione, colse l’occasione per dichiararsi non più interessato allo sviluppo di ILLIAC IV, essendo il progetto incompatibile con la sicurezza e le attività dell’ateneo. La NASA, interessata alle applicazioni di supercalcolo e dotata di ingenti finanziamenti grazie al Programma Apollo in pieno svolgimento, rilevò il sistema trasferendolo all’Ames Research Center di Moffett Field in California. Terminata la messa a punto dopo ulteriori traversie dovute a problemi di affidabilità e completato solo per un quarto di quanto prevedeva il progetto originario, ILLIAC IV sviluppò una potenza massima dieci volte inferiore alle aspettative a un costo complessivo di oltre trenta milioni di dollari, assolutamente sproporzionato ai risultati. Nel 1982 il sistema venne disattivato quando la NASA, dovendo fronteggiare i tagli di bilancio seguiti al tramonto dei sogni lunari, decise di chiudere il centro di supercalcolo.