A quasi due anni di distanza, Dario Tonani ritorna su Urania con il volume L'Algoritmo bianco che contiene due romanzi brevi: L'algoritmo bianco e Picta muore!, entrambi ambientati a Milano e con protagonista Gregorius Moffa, un killer, un antieroe a caccia di un terribile virus informatico.

Tonani torna così alle atmosfere del future-noir, territorio in cui si era già addentrato con successo con il suo precedente romanzo Infect@, inviato nel 2005 al Premio Urania, arrivato in finale è pubblicato sul n. 1521 della rivista mondadoriana. 

Molte sono le novità e le peculiarità di queste due opere brevi di Tonani e non potevamo non parlarne direttamente con lo scrittore milanese. 

L'Algoritmo bianco contiene anche i racconti “Mistero infinito” di Antonio Bellomi ed “Embargo” di Elisabetta Vernier.

Per la seconda volta, un tuo romanzo viene pubblicato su Urania: che cosa significa per te essere stato di nuovo scelto per la collana mondadoriana?

È una soddisfazione enorme, un po’ diversa dalla prima volta, che pure fu grandissima. La pubblicazione di Infect@ era frutto del Premio, l’espressione di una giuria, che evidentemente aveva ritenuto di dare ampia visibilità anche al secondo classificato, abbattendo una consuetudine non scritta. Ma era pur sempre una scelta fatta nell’ottica di una rosa di candidati tra cui scegliere, sui quali la giuria si poteva dire d’accordo o meno. Con L’algoritmo bianco arrivo su Urania attraverso una valutazione editoriale diversa: ampiamente sollecitato dalla redazione a presentare un’altra opera. Per me è stata proprio questa richiesta la soddisfazione più grande, l’attestazione di una stima che ha fatto poi da carburante per la scrittura.

I due romanzi sono ambientati entrambi a Milano, così come lo era Infect@: quali caratteristiche della Milano di oggi sono presenti nei due romanzi?

Certo, la location è la stessa, ma Infect@ e L’algoritmo sono separati l’uno dall’altro da due decenni. Diciamo che - a un diverso stadio evolutivo - rappresentano entrambi la coda degenere della Milano di oggi, almeno del lato oscuro della città: quello delle coscienze alla deriva e dei quartieri popolari, dei tossici e dei clochard, degli spacciatori e delle gang di quartiere, della mala locale e del crimine organizzato che arriva dall’estero. Balcanizzata, multietnica, trasgressiva, violenta, insensibile al grido d’allarme dei singoli. In Infect@ anche il paesaggio non aveva redenzione. Nell’Algoritmo, invece, è in corso una sia pur timida riqualificazione urbanistica, anche se l’indirizzo che ha preso rischia di far diventare la città più disumana e squallida di prima.

Nei due tuoi romanzi di Urania è presente il tema della dipendenza da droghe: oltre a questo argomento cos’hanno in comune Infect@ e L’algoritmo bianco?

Come dicevo, prima di tutto l’ambiente, pur con alcune piccole differenze. In realtà, nell’Algoritmo la dipendenza dalle droghe è solo un contorno, un pretesto per rivolgere l’attenzione altrove. I punti i comune tra i due titoli (i romanzi in effetti sono tre) sono però moltissimi: il plot noir, il taglio sostanzialmente cyberpunk, il ritmo adrenalinico della storia, certi personaggi decisamente hardboiled, tormentati tra il fare e l’essere. Il fatto di raccontare la notte e il buio delle coscienze anche quando in cielo splende il sole. Beh, forse questo no: non c’è un solo raggio di sole nelle mie tre Milano. Piove, nevica, il cielo fa perennemente schifo. Per terra c’è fango o neve marcia. Violenza di quartiere a parte, circolare è un incubo; bisogna avere proprio delle motivazioni forti per buttarsi giù dal letto e affrontare la giornata. Lo trovo molto... milanese.