Che cosa è successo tanti anni fa a Vienna fra Borislav il padrone del chiosco e Fleka il ricettatore? Il chiosco non ce lo dice e, oltre ad allusioni talvolta oscure, poco veniamo a sapere del passato dei personaggi di questa nuova storia di Bruce Sterling, uscita nel numero di gennaio 2007 di Fantasy & Science Fiction e finalista al premio Nebula. O meglio, forse sappiamo la cosa fondamentale: la guerra, una guerra civile che è allo stesso tempo un conflitto fantascientifico futuro e la guerra civile, tragicamente reale, che ha accompagnato la dissoluzione della Jugoslavia. Mai come stavolta, la fantascienza di Bruce Sterling mette in scena il nostro presente. 

In una città anonima, che fa ragionevolmente pensare a Belgrado, si muove lo straordinario antieroe protagonista di Kiosk, veterano di una guerra che gli ha lasciato una ferita permanente. 

Potrebbe essere la premessa di una trama hemingwayana, con la ricerca di una ricostruzione nel nome dei codici dell’amicizia maschile, ma qui i codici sono in continua ridefinizione e la guerra, in un modo o nell’altro, continua a lasciare nuove ferite. Borislav il venditore di strada un po’ filosofo, involontario catalizzatore (e volontario agnello sacrificale, almeno in parte) di una vera e propria rivoluzione sociale, diventa così protagonista di un dramma comico che, come ha osservato lo scrittore anglo-canadese Cory Doctorow nel sito Boing Boing, appartiene totalmente al nostro ventunesimo secolo.

In una certa misura, una sua prima incarnazione era stato il protagonista di The Bicycle Repairman, vincitore del premio Hugo 1997 (il suo unico Hugo, insieme a Taklamakan nel 1999), ristampata nell’antologia Un futuro all'antica (A Good Old-Fashioned Future, 1999, Mondadori). Anche in quel caso, una figura marginale si era ritrovata coinvolta in una trama legata all’alta tecnologia. Ma i toni erano quelli tipici del classico cyberpunk di Sterling, che identificavano la tecnologia con una promessa di liberazione sociale. Qualcosa, ormai, è cambiato.

Anche se il romanzo d’esordio, Oceano (Involution Ocean, 1977, Perseo) era stato una barocca epopea avventurosa, che mescolava Moby-Dick e Roger Zelazny, con gli anni 80 Sterling diventa l’autore per eccellenza del cyberpunk, insieme a William Gibson.

Bruce Sterling
Bruce Sterling
Aveva molte certezze il primo Sterling, in romanzi che univano trame avventurose e note espositive da roman philosophique, che facevano pensare a Heinlein degli anni 60-70, e che un po’ alla maniera dei vittoriani (ma senza il pessimismo di Wells), radicavano conflitti e rapporti di potere nelle leggi naturali: il trionfo dell’umanità e dei protagonisti stava nella capacità di sottoporre l’evoluzione a un controllo assoluto. Sul periodo formativo del cyberpunk, abbiamo scritto in altre occasioni, dando una preferenza alla visione dolorosa di William Gibson rispetto a quella trionfante di Sterling. Nondimeno, entrambi sono due facce di una stessa medaglia che, mentre li scoprivamo intorno al 1990, producevano lo stesso entusiasmo per una fantascienza che faceva, ancora una volta, i conti con il presente e i suoi nuovi lettori.

Per molti, è l’aggressività dell’introduzione a Mirrorshades (1983), l’antologia che lo consacra promotore ufficiale del cyberpunk, a riassumere la figura di Sterling, e la sua firma sembra essere il compiaciuto, ironico senso di sicurezza dei viaggiatori temporali di Mozart in Mirrorshades (1985, con Lewis Shiner), che si arricchiscono modificando il passato senza conseguenze.

Di cyborg e corpi modificati artificialmente, Sterling aveva cominciato a parlare da tempo. In The Artificial Kid (1980, Mondadori) il solitario individualista Arti (il cui nome sta allo stesso tempo per arte e artificialità) è un clone dal corpo tecnologicamente potenziato, anzi blindato, eterno preadolescente che svolge la sua performance di aggressivo predatore come stella di una sorta di reality show, vendendo ai ricchi video di risse e duelli sanguinosi. 

Sul barocco pianeta Reverie, le divisioni di classe sono acute e il paesaggio urbano è descritto in termini di castelli e fortezze. Arti si presenta come dissenziente proveniente dalla “Zona Decriminalizzata”, priva di freni legali e sociali, ma è in effetti il più puro prodotto del suo mondo. 

Come tanti ragazzi di Heinlein, Arti incontra un paio di paterni mentori, per cui arricchirsi è l’unico fine. Analogo del denaro è la biologia del caos, il bianco blob in grado di assimilare ogni forma vitale, un’immortalità e un’onnipotenza prive di intelligenza. 

Alla fine, Arti è fra coloro che sconfiggono i piani di una minacciosa “Cabala”, ma per altri la storia si conclude nel nome di una forza biologica che porterà la salvezza svuotando di senso qualunque ricerca di libertà e autodeterminazione. Arti tornerà a crescere, e tutto (nel nome dei soldi) appare ricomporsi.