— Ti ho detto di rispondere! — esclamò Salinas, battendo rumorosamente un palmo sulla scrivania. I graffiti sulla superficie tremolarono per un attimo e poi scomparvero. Il poliziotto imprecò sottovoce. Le sue folte sopracciglia si inarcarono. A Rico sembrarono le zampe pelose di un ragno, pronto a farsi largo da quella fronte corrugata per gettarsi su di lui. — Sa già che sono stato inquadrato nel Genio — replicò, turbato dall'immagine. — Dovevamo fortificare il versante sud di Mount William, da dove avrebbero attaccato i nepalesi, e…

— Questa è storia, Proietti. La sanno tutti. — Le zampe del ragno si distesero, impazienti. — Gli eroi dell’Atlantico del Sud. A mani nude contro i kukri, eccetera, eccetera…

— Senta — interruppe Rico, esasperato. — Sono un borsaiolo, è vero. Perché non si limita a mettermi in cella e a gettare via la chiave? Altrimenti la finisca con le chiacchiere e venga al punto!

— Attento, italiano — ammonì Salinas, una punta d'acciaio nel tono divertito. — Non mi far pentire di averti scelto. Sono giorni che Alvárez si fa il mazzo per tenerti d'occhio. — Ammiccò verso l'altro gendarme, che sollevò il mento con orgoglio.

— Tu eri fra quelli che decrittarono i codici dei missili britannici, vero? — lo interrogò all'improvviso il cileno.

— E’ passato tanto tempo... — ribatté Rico. Cominciò a spaventarsi davvero. Un conto era essere fermati in caserma per un volgare borseggio, un'altra trovare uno sbirro che sapeva tutto di te.

— Allora? — insisté Salinas. Le zampe di ragno avevano ripreso a scalare pericolosamente quella fronte olivastra. Rico rabbrividì.

— La tua memoria ha bisogno di un aiuto? — lo schernì il poliziotto. — Eccoti servito. Nella primavera del 1982 c’era un gruppo ristretto di volontari italiani. Tutti giovanissimi, dei veri enfants prodige specializzati in comunicazioni, che lavorarono a stretto contatto con il controspionaggio cileno. Tra quelli che li sorvegliavano c’ero anch’io. L’incarico che avevamo ricevuto dal Palazzo della Moneda era intercettare i messaggi in codice degli inglesi e tradurli per l’alto comando argentino. Il Presidente Allende voleva a tutti i costi che l’Argentina vincesse quella guerra. Era l’unico modo per avvicinare i nostri due governi ed evitare che quei fascisti di Pinochet e Merino ci riprovassero ancora.

Il cileno sogghignò al ricordo dei generali suoi compatrioti protagonisti del fallito golpe del settembre ’73.

— Avvenne così — riprese studiandosi volutamente le unghie della mano destra, quella che Rico non aveva più. Colse lo sguardo d'odio del suo prigioniero e ridacchiò, poi riprese il suo racconto. — Quel gruppo di giovani italiani, politicamente molto motivato e tecnicamente preparatissimo, fu dunque accolto nel maggio del 1982 come la manna dal cielo. In pochi giorni i codici dei missili inglesi furono decifrati.

— Sono le solite storie che inventano i giornali — ribatté Rico levando esasperato braccio e moncherino. — Io so solo che ci gettarono nella mischia dopo poche settimane di addestramento militare. Io i cileni e i cubani li ho visti solo lì, a Chacabuco, vicino al campo di prigionia destinato agli inglesi. Un russo, poi, non so nemmeno come sia fatto.

— Non è che ti perda poi molto — sghignazzò il poliziotto. — Eppure, Proietti… — Salinas aggrottò la fronte e ridusse gli occhi nerissimi a due fessure.— La tua faccia non mi è del tutto nuova. — Per lunghi istanti le pupille del cileno sondarono Rico come succhielli, poi mollarono la presa. — Vorresti farmi credere che non hai nemmeno una consolle personale, a casa?

— Ho un olopersonal, sì — ammise Rico, rassegnato.

— Che brutte parole usi! Ma forse tu sei un po’ yankee, Proietti. Svuoti le tasche dei compagni brasiliani, no? — Salinas rise fra sé, compiaciuto della battuta. — Che siti frequenti su Internet? No, non rispondermi, non mi interessa. E, a proposito, com’è farsi le seghe con la mano sinistra? E’ vero che sembra che sia un altro a farti il servizio? No, ma che dico. Com'è che fate oggi? Vi infilate una tutina attillata e vi scopate un fantasma?

Salinas scoppiò a ridere, stavolta di gusto, coinvolgendo anche l’agente Alvárez. Ammiccò verso la parete di fronte, dove campeggiava un altro grande ritratto, quello del presidente brasiliano.

— Il presidente federale, il compagno Luis Inacio Lula da Silva — lesse con dignità, — sta facendo un enorme lavoro per assicurare il futuro di noi tutti. — Così come il Presidente del Consiglio, compagno Eduardo Frei — aggiunse aggrottando di nuovo le pelose zampe di ragno. — E il ministro dell’Economia, compagno Nestór Kirchner. E insieme con il compagno Chavez tutti lavorano per un’America Latina che abbatta finalmente tutte le frontiere!