La verosimiglianza scientifica è stato uno degli elementi più importanti di 2001. Coadiuvato da esperti della NASA e futurologi, oltre che naturalmente dallo stesso Clarke, Kubrick ci tenne a non cadere nei proverbiali errori dei registi di fantascienza. Ad esempio i modellini utilizzati per le astronavi e per la stazione spaziale provenivano da progetti realizzati da ingegneri aerospaziali e alcuni di essi erano stati anche oggetto di studi di fattibilità della NASA.

Arthur C. Clarke, La sentinella
Arthur C. Clarke, La sentinella
I rumori dei motori nello spazio, che già all’epoca guastavano il realismo di un telefilm come Star Trek, furono completamente eliminati e gli effetti dell’assenza di gravità perfettamente dimostrati in numerose scene del film. Se uno scrittore come Asimov poteva dire di non aver gradito 2001 per la sua eccessiva lentezza, evidente per esempio nella lunga scena in cui Poole esce nello spazio per riparare l’antenna di comunicazione dell’astronave, certo non poteva però criticare il profondo ‘verismo’ che lo caratterizza. Effettivamente il film può apparire in alcuni momenti la prima opera di fantascienza cinematografica verista, concentrata sull’attendibilità scientifica piuttosto che sui temi dell’azione e dell’avventura. Clarke, nel suo romanzo, perfezionerà questo elemento scendendo in dettagliate descrizioni delle tecnologie astronautiche dell’anno 2001, come ci si aspetta da uno scrittore che – ancora prima di considerarsi un autore di fantascienza – teneva alla sua reputazione di inventore e scienziato. L’altro elemento che ha fatto la fortuna del film è del tutto antitetico al precedente: lo si potrebbe definire come l’elemento della visionarietà o dell’irrazionalità. La capacità cioè che Kubrick ha avuto di infondere alla pellicola un’aurea di misticismo che trascende l’aspetto meramente narrativo della vicenda e la sua plausibilità senza tuttavia stonare con questi due aspetti. La “non-narrabilità” di cui si parlava prima sta soprattutto nel fatto che 2001 è un film di immagini e di musica piuttosto che di storia; i dialoghi sono ridotti all’osso, recuperati solo nel romanzo. È indicativo il fatto che Kubrick inizialmente voleva aprire il film con una lunga sequenza su campo nero dove solo la musica di Ligeti, Atmosphères, avrebbe dominato la scena. Un incipit solo musicale, privo d’immagini, della durata di svariati minuti, portato avanti tra l’altro da uno dei pezzi più criptici e di difficile comprensione uditiva della musica sinfonica moderna: una scelta che poi fu cambiata all’ultimo momento comprendendone le difficoltà.

Ma l’uso della musica per accompagnare 2001 è rimasta: dal monumentale preludio di Also Sprach Zarathustra di Richard Strauss (che nelle intenzioni dello stesso compositore, ispirato dall’opera omonima di Nietzsche, stava a rappresentare la Creazione del superuomo, concetto questo ripreso in pieno da Kubrick) all’indimenticabile Sul bel Danubio blu di Johann Strauss jr., il valzer reinterpretato in chiave fantascientifica dove i primi ballerini sono lo shuttle e la stazione orbitante che insieme realizzano forse la scena più bella del cinema kubrickiano. E poi sempre Ligeti, la cui micropolifonia domina le parti più criptiche del film, quelle del viaggio psichedelico di Bowman. Un viaggio fatto anche e soprattutto di immagini, anche qui giustapposte in maniera antitetica: dal caos primigenio che caratterizza la corsa nel wormhole spazio-temporale prodotto dal monolite, alla calma impossibile della morte e resurrezione di Bowman in una stanza arredata in stile settecentesco, chiaramente un “non-luogo” sospeso in un “non-tempo”.