Ci sono quasi voluti vent’anni per dare vita ad un quarto capitolo delle avventure cinematografiche di Indiana Jones. Un film molto atteso dopo il successo di Indiana Jones e l’Ultima Crociata, che ha riunito ancora una volta la coppia d’oro del cinema americano Steven Spielberg-George Lucas.

Indiana Jones e il Regno del Teschio di Cristallo vede tornare nel cast Karen Allen insieme a Harrison Ford, Shia LeBouf, Cate Blanchett, John Hurt e Ray Winstone ed è stato presentato in anteprima mondiale al Festival di Cannes.

Karen Allen che riprende il ruolo di Marion Ravenwood quasi trenta anni dopo I predatori dell’Arca perduta ricorda ”Ero solo una giovane attrice quando ho avuto l’opportunità di fare quel film e per me è stata un’esperienza incredibile: un successo straordinario, ma – al tempo stesso – anche un po’ inatteso da tutti noi per la sua portata. Adesso quando ci siamo incontrati di nuovo sul set abbiamo vissuto tutti quanti quasi una sorta di nostalgia rispetto al passato.”

Spielberg aggiunge: “Quando abbiamo fatto i primi test sullo sfondo di una giungla finta con una troupe di ragazzi tra i trenta e i quaranta anni, non appena sono apparsi Harrison e Karen vestiti come nei film con cui questi ragazzi sono cresciuti, c’è stato un sentimento di grande emozione. Ho perfino visto qualcuno versare qualche lacrima dalla commozione. Fino a quel momento Indiana Jones era un impasto di celluloide e di ricordi. Adesso era diventato realtà.”

Cate Blanchett che interpreta un’enigmatica spia sovietica, ricorda come, invece, proprio al cinema si sia praticamente innamorata dell’archeologo interpretato da Ford: “Da ragazzina volevo sposare Indiana Jones.”

L’attore di Transformers e Disturbia, Shia LaBeouf si dice particolarmente emozionato dal lavorare al fianco di così grandi talenti “E’ come fare parte di una squadra di All Star. E’ come vivere su una nuvola giorno per giorno.”

Mr. Spielberg, cosa vi ha spinto, di nuovo, verso Indiana Jones?

Il fatto che per anni, io, George Lucas e Harrison Ford ci siamo sentiti rivolgere sempre la stessa domanda. “Quando ci sarà un altro film?” Personalmente gli unici film della mia carriera di cui mi viene chiesto un seguito sono stati Indiana Jones e E.T. Nessuno mi ha mai domandato un sequel di A.I., 1941 o Hook… nessuno!

Quando ne avete parlato la prima volta lei cosa ne pensava?

Devo ammettere che ero quello meno convinto di tutti. Mi hanno dovuto persuadere che questo film avesse un senso e, fortunatamente, posso dire che sia George che Harrison avevano ragione.

Perché ci è voluto così tanto tempo?

Ero proprio io a dire: “Non so…sono nel mio periodo più ‘dark’. Sto facendo film storici molto seri che spero verranno visti dai miei figli quando saranno grandi. Poi, però, ho girato Jurassic Park e mi sono sentito molto bene e ho iniziato a pensarci davvero. C’è voluto molto tempo per lavorare concretamente sulla storia. George, sin dall’inizio, ha parlato del teschio di cristallo. Abbiamo avuto bisogno di qualche anno per costruire intorno a questo elemento una trama interessante. Quando è arrivato a bordo lo sceneggiatore David Koepp tutto ha iniziato a prendere una forte accelerazione: le pagine dello script erano fantastiche e abbiamo iniziato a procedere nella direzione ‘giusta’.

Quanto è stato difficile tornare a lavorare su Indiana Jones? Avvertivate una certa pressione in base a tutte queste aspettative da parte dei fans…

Ogni film rappresenta tutte le volte una sfida diversa e non paragono la serie di Indiana Jones a nessuno degli altri titoli che ho realizzato nella mia carriera. Del resto il lavoro con George Lucas ha cambiato un po’ la mia visione della produzione. Nei film precedenti a I predatori dell’arca perduta sforavo sempre sia il budget che i giorni di produzione, mentre George mi ha subito detto chiaramente: “Quando si lavora con me o si è avanti nelle riprese, o si è in tempo o si è sempre sotto la linea del budget. Altrimenti ti prendo a calci…” Questo atteggiamento rende tutti gli sforzi molto complessi, ma al tempo stesso fa in modo che tutti i film di Indiana Jones risultino essere abbastanza compatti e fortemente caratterizzati in maniera dinamica dal punto di vista narrativo.

Che tipo di lavoro ha sviluppato sul set?

Uno molto collaborativo. Le idee di tutti erano benvenute e abbiamo lasciato spazio all’improvvisazione. Tutti gli attori si sono sentiti parte di un progetto comune ed erano liberi di darmi dei suggerimenti che, poi, alla fine sono finiti dritti dritti nel film.

Parliamo dell’ambientazione durante la Guerra Fredda…

Una scelta necessaria, perché il tempo è passato per tutti e che così ha un po’ ‘fissato’ il tono del film. Così i vent’anni trascorsi per noi dal 1989 hanno portato Indiana Jones nel 1957 durante l’era dello scontro tra Stati Uniti e Unione Sovietica. In più questo è anche il periodo storico dove io stesso sono cresciuto. A scuola, verso la fine degli anni Cinquanta, facevamo un sacco di esercitazioni ‘anti bomba’ e quel periodo è rimasto molto impresso dentro di me. La saga di Indiana Jones è passata così dal periodo della Seconda Guerra Mondiale all’Era Atomica.

Adesso oltre al film su Liconln c’è Tin Tin…

E anche qui c’entra Indiana Jones. Non avevo mai sentito parlare di questo personaggio fino al 1981 quando qualcuno fece un paragone tra le sue avventure e I predatori dell’Arca Perduta. Adesso con Peter Jackson daremo vita ad una trilogia di film ispirati alle avventure di questo personaggio straordinario, ma è ancora presto per dare una serie di dettagli che sono in corso di definizione. I film saranno realizzati con la tecnica del motion capture: la stessa di Beowulf.

Ci sarà un quinto capitolo della saga di Indiana Jones?

Solo se il pubblico vorrà…

La versione completa di questa intervista è pubblicata sul numero 54 di Robot, in uscita in giugno.