In realtà, il suo nome al grande pubblico suonava ancora ignoto, ma la stima dei giovani seguaci era tutt’altro che immeritata. Per tutta la durata dei suoi vagabondaggi – in preda a un’alterazione di coscienza praticamente costante – prima in America, di qui in Messico (dove uccise la moglie Joan Vollmer Adams in un tragico incidente con la pistola), quindi in Sud America sulle tracce dello yage (nome indigeno per la bannisteria caapi, una pianta i cui estratti avrebbero dovuto produrre una droga misteriosa dai leggendari effetti telepatici e

negromantici) e poi a Tangeri (dove venne soprannominato “el hombre invisible”), per finire in Europa (tra Londra, Parigi e la Scandinavia), Burroughs non smise un attimo di dar sfogo ai suoi impulsi grafomani, continuando a raccogliere appunti. Alla fine sarebbe risultato un manoscritto-baule (the trunk manuscript) di oltre mille pagine dattiloscritte, il cosiddetto The Word Hoard, da cui avrebbe attinto per ricostruire le sue visioni e i suoi incubi nei resoconti destrutturati di Naked Lunch (Il Pasto nudo, 1959), il suo capolavoro universalmente riconosciuto, e della successiva Trilogia Nova, che porta a compimento l’esperienza letteraria iniziata a Tangeri e proseguita a Parigi.Difficilmente un lettore tradizionalista, legato ai canoni e alle convenzioni del romanzo, potrebbe apprezzare il valore dell’opera di Burroughs, ma in fondo è in questo che consiste la forza più dirompente della sua carica rivoluzionaria: uno slancio capace di sovvertire ogni paradigma, dischiudendo un nuovo orizzonte a chi voglia prestargli la propria fiducia. Con Burroughs più che con qualunque altro dei titani del Novecento (viene da pensare subito a Thomas Pynchon o a William Gibson per affinità diretta), il patto di lealtà tra il lettore e lo scrittore è codificato in psicogrammi di sangue. Questo perché a parlarci attraverso le parole dei suoi non-romanzi non è quasi mai l’autore, bensì l’uomo, che riporta la sua dolorosa esperienza lungo le strade dell’Interzona, il suo inferno privato.
“La droga produce la formula di base del virus del «male»: l’Algebra del Bisogno. La faccia del «male» è sempre la faccia del bisogno assoluto. Il drogato è qualcuno che ha un bisogno assoluto di droga. Oltre una certa frequenza il bisogno non conosce nessun limite né controllo. […] E la droga è una grande industria. […] Se volete alterare o annientare una piramide di numeri in correlazione seriale dovete alterare o rimuovere il numero alla base. Se vogliamo annientare la piramide della droga dobbiamo partire dalla base: il Tossicodipendente della Strada, e smetterla di partire lancia in resta contro i mulini a vento, cioè contro i pesci grossi, i quali sono tutti immediatamente sostituibili. Il tossicodipendente della strada, che ha bisogno della roba per vivere, è l’unico fattore insostituibile nell’equazione della droga. Quando non ci saranno più tossicodipendenti disposti a comprare la droga non ci sarà più traffico di droga. Finché esisterà il bisogno della droga, ci sarà qualcuno pronto a soddisfarlo”1.
Fu Brion Gysin, altro assiduo frequentatore del laboratorio creativo che i beatnik avevano installato a Parigi, in maniera del tutto informale, presso il cosiddetto Beat Hotel del Quartiere Latino, a introdurre Burroughs alla tecnica del cut-up, già usata negli anni Venti dal dadaista Tristan Tzara.